Newsletter Antiriciclaggio su Linkedin


News e approfondimenti su repressione e prevenzione del riciclaggio. Ogni due settimane su Linkedin.

Iscriviti su LinkedIn

 

D.D.L. di modifica del d.lg. 231 e nota di commento

Il d.d.l. presentato dall'AREL prevede, tra l'altro, che la certificazione del Modello organizzativo esclude la responsabilità dell'ente.

Testo dello schema di disegno di legge

Lo schema di disegno di legge in commento è stato presentato in un incontro promosso dall’AREL in data 7 luglio 2010.

1.LLe tre novità principali

 

1.L’eliminazione dell’inversione dell’onere della prova nell’ipotesi di reato dell’apicale

L’art 6 viene riscritto “in positivo”: non più “l’ente non risponde se prova che …”, ma “l’ente risponde se…”.

Questa riformulazione, con tutta evidenza, elimina l’inversione dell’onere della prova a carico dell’ente: sarà il pubblico ministero a dover dimostrare la colpa organizzativa.

Trattasi di presa di posizione netta nei confronti dell’attuale formulazione, che, secondo molti (tra i quali chi scrive), è ai limiti dell’illegittimità costituzionale.

Tale riscrittura dovrebbe poi portare ad una riconsiderazione della tesi oggi prevalente, secondo cui l’art 6 configura la possibilità di non applicazione della sanzione in presenza – dimostrata dall’ente – di un fatto impeditivo (e non costitutivo della sua responsabilità): l’adozione e l’attuazione del Modello.

Sul punto basti per ora citare il seguente passo motivazionale dell’ordinanza del GIP del Tribunale di Napoli (26 giugno 2007):

Ed è proprio l'esplicita previsione dell'inversione dell'onere della prova che induce a ritenere il reato già perfetto e completo in tutti i suoi elementi costitutivi allorquando ricorrano le condizioni di cui all'art. 5: reato commesso nell'interesse o a vantaggio dell'ente da parte di soggetto che rivesta al suo interno una posizione apicale. Diversamente opinando, la prova dell'elemento costitutivo dell'illecito dovrebbe essere fornita, secondo le ordinarie regole, dall'accusa, mentre aver attribuito l'onere probatorio della sussistenza delle ridette condizioni alla persona giuridica ne evidenzia la loro natura di elemento impeditivo e cioè di elemento idoneo a paralizzare le conseguenze giuridiche connesse alla sussistenza degli elementi costitutivi dell'illecito.

Ovviamente la tesi dell’illegittimità costituzionale dell’inversione dell’onere della prova ex art 6 si fonda sulla ritenuta natura sostanzialmente penale della responsabilità dell’ente, la quale potrebbe peraltro riverberare effetti analoghi sul potere di archiviazione diretta del PM e sullo stesso regime di prescrizione ex art 22.

Lo stesso Giudice equiparava – contra legem - l’onere della prova ex art 6 con quello ex art 7:

Viceversa, nel caso di reato commesso da sottoposto, la responsabilità dell'ente resta esclusa dall'adozione, ante factum, di idonei ed efficaci modelli di organizzazione e, stando alla lettera della norma, sembrerebbe che l'onere della prova della mancata adozione e della inefficace attuazione dei medesimi graverebbe, viceversa, sull'accusa, non essendo riprodotta la locuzione "l'ente non risponde se prova". Siffatta conclusione non appare, invero, condivisibile, posto che, poiché la valutazione che il giudice dovrà compiere sul modello è identica in entrambe le fattispecie (sia che il reato sia commesso da soggetto apicale, sia che sia commesso da sottoposto) e comporta una disamina del suo contenuto – sotto il profilo dell'idoneità – e della sua attuazione – sotto il profilo dell'efficacia – sarà indubbiamente interesse dell'ente che al riguardo risulta obiettivamente dotato di maggiori poteri conoscitivi dimostrare, in ambedue i casi, l'adozione di idonei strumenti comportamentali ma soprattutto dimostrarne l'efficace attuazione attraverso l'effettiva e costante implementazione del modello, così validamente interloquendo sull'istanza di coercizione ovvero sulla contestazione formulata.

Secondo il testo che si propone sarà quindi il pubblico ministero, tra l’altro, a dover dimostrare che il reato è stato commesso dagli apicali senza elusione fraudolenta.

1.2Definizione di ente di piccole dimensioni

Sono gli enti che per due esercizi consecutivi non hanno superato due dei limiti indicati dall’art 2435 bis c.c. (Bilancio in forma abbreviata):

-Totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 4.400.000 euro

-Ricavi delle vendite e delle prestazioni: 8.800.000 euro

-Dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 50 unità

In tali enti le funzioni di Organismo di vigilanza potranno essere svolte o da un soggetto interno adeguatamente indipendente o con altre modalità che andranno individuate dal successivo regolamento.

Insomma viene eliminata la soluzione, oggi ammissibile ma per nulla soddisfacente, dell’organo dirigente che esercita pure funzioni di controllo.

 

1.3Certificazione del Modello

Trattasi di aspetto fondamentale della proposta, i cui contenuti dovranno essere stabiliti con regolamento del Mingiustizia.

Il principio è netto: la certificazione del Modello determina l’esclusione di responsabilità dell’ente.

Ma non assoluto: “sempre che ilmodello concretamente attuato corrisponda al modello certificato e non siano sopravvenute (ndr: dopo la certificazione) significative violazioni delle prescrizioni che abbiano reso manifesta la lacuna organizzativa causa del reato per cui si procede.

Possono essere certificate anche singole procedure (evidentemente quelle che presidiano le attività considerate maggiormente rischiose), anche nel corso del processo di adozione del modello.

Questa disposizione consente di ottenere l’esclusione di responsabilità nelle ipotesi in cui il reato venga commesso mentre la società si sta dotando di un modello[1].

Se il modello è certificato non si applicano, di regola, le sanzioni interdittive in sede cautelare.

Si precisa che il certificatore esercita funzioni private, seppur sotto il controllo della pubblica autorità. Pertanto, non rivestendo qualifiche pubblicistiche non è tenuto all’obbligo di denuncia di reati all’AG (con correlativa responsabilità penale in caso di omissione).

La falsa attestazione di idoneità del modello da parte del certificatore è punita con la reclusione da 6 mesi a tre anni: trattasi di reato di danno, in quanto deve sussistere l’effettivo conseguimento di un ingiusto profitto[2].

La falsa attestazione sui presupposti di idoneità[3] del modello anche a titolo di colpa grave, è punita con la sospensione fino a 2 anni o con l’interdizione dell’attività di certificazione.

2.Altri aspetti di rilievo

Il d.d.l. sostanzialmente recepisce a livello normativo la best practice e alcune indicazioni giurisprudenziali:

-L’ODV deve essere dotato di mezzi, anche finanziari, adeguati;

-i Modelli devono dar conto dell’effettiva organizzazione dell’ente e dell’eventuale esistenza di un’attività di direzione e coordinamento;

-nei modelli devono risultare i criteri utilizzati nella loro redazione;

-la c.d. mappatura dei rischi di reato deve indicare la misura e la descrizione del tipo di rischio individuato;

-il modello deve dar conto dei rapporti tra l’ODV e gli altri organi dell’ente;

-il modello deve prevedere modalità di informazione, da parte dell’ODV, sulla sua adeguatezza e sulla sua attuazione

L’ultimo punto non chiarisce chi siano i destinatari dell’informazione da parte dell’ODV.

Se, come peraltro è stato affermato in sede di presentazione del d.d.l., si tratta dei terzi e del pubblico in generale, la disposizione, a stretto rigore, non risponde a finalità preventive, ma di immagine di c.d. good citizenship[4].

3.Il d.lg. 231 in prospettiva

I profili di criticità della normativa sono molteplici ed evidenziati in numerose occasioni.

Innanzitutto il novero dei reati-presupposto è disomogeneo, contemplando reati “estremamente patologici” e difficilmente riconducibili ad attività di impresa.

D’altro canto mancano all’appello reati contigui al “nocciolo duro” del d.lg. 231: inadempimento e frode nelle pubbliche forniture; turbativa d’asta; usura; reati tributari; esercizio abusivo di attività bancaria e finanziaria; trattamento illecito di dati personali.

Per non parlare della Illustre Scomparsa, la corruzione tra privati, che avrebbe dovuto essere inserita nel codice penale e richiamata nel d.lg. 231 sulla base della delega contenuta nella Comunitaria 2007, inutilmente scaduta nell’aprile 2009.

Inoltre bisognerebbe porre rimedio ad alcune mancanze di coordinamento che sembrano condurre verso esclusioni irragionevoli: ci si riferisce al reato di falso in prospetto, prima disciplinato dall’art 2623 c.c. e oggi – successivamente alla Riforma del risparmio – dall’art 173 bis T.U.F., non richiamato dall’art 25 ter d.lg. 231.

Lo stesso dicasi per le false dichiarazioni del revisore e per l’impedito controllo del revisore che non sono più richiamati nell’art 25 ter, in quanto spostati ratione materiae nel d.lg. n. 39/2010 sulla revisione legale dei conti.

Il quadro sanzionatorio andrebbe ripensato[5]: si pensi tra l’altro al cumulo di responsabilità in materia di market abuse, peraltro di recente “salvato” dalla stessa Corte di Cassazione.

Il regime di prescrizione dell’illecito dell’ente andrebbe disciplinato secono le regole penalistiche, superando l’attuale disposto di cui all’art 22[6].

Andrebbe chiarito il criterio oggettivo di imputazione nel caso di reati colposi.

La giurisprudenza sta superando con disinvoltura un profilo applicativo che potrebbe invece cozzare con il principio di stretta legalità: ci si riferisce alla compatibilità del criterio dell’interesse con la natura colposa del reato.

Se – come è già stato fatto nella (peraltro notevole) sentenza sul noto caso Truck Center – si lega l’interesse alla condotta violativa della normativa antinfortunistica (da cui sia derivato l’evento morte/lesione), in buona sostanza si va ad affermare la responsabilità dell’ente in relazione ad un reato diverso dall’omicidio/lesioni colpose: appunto la contravvenzione prevista nel T.U. sicurezza.

E se, per ipotesi, quella condotta non fosse punita penalmente, ma fosse caratterizzata da colpa generica (tipicamente: per violazione dell’art 2087 c.c.), l’ente verrebbe punito in relazione ad un fatto non costituente reato.

Infine, sulla scia della recente normativa sammarinese, si potrebbe chiarire che l’ODV non ha un obbligo giuridico di impedire il reato altrui.

Insomma, è giunto il momento, magari in occasione del decimo compleanno del decreto, di porre mano a modifiche sistematiche che consentano di mantenere quel plauso che in più consessi, anche internazionali, viene riservato alla “legge 231”.

(Maurizio Arena)



[1] Sulla questione dell’inesigibilità dell’adozione del Modello per circostanze non imputabili all’ente, sia consentito il rinvio all’articolo dello scrivente: L'inesigibilità dell'adozione e attuazione del modello organizzativo, in www.reatisocietari.it, 18 febbraio 2009

[2] Va rilevato che la dazione di denaro al certificatore da parte del management della società costituirebbe un caso paradigmatico di corruzione tra privati, allo stato comunque non rilevante penalmente.

[3] Espressione a dire il vero non chiarissima

[4] Un adempimento di questo tipo – ma teoricamente presidiato da risposta lato sensu sanzionatoria - è previsto nel Regolamento dei Mercati di Borsa Italiana, secondo il quale l’emittente quotato nel segmento STAR deve inviare a Borsa Italiana un’attestazione sull’adeguatezza e osservanza del modello organizzativo da parte dell’organismo di Vigilanza o dell’organo dirigente preposto a tale funzione.

[5] Tale raccomandazione è già stata formalizzata nella bozza di d.d.l. della Commissione Greco.

[6] In questo senso esprime perplessità la stessa Relazione della Commissione Lattanzi.

 



In libreria

Il tema della sicurezza alimentare spiegato attraverso una vasta selezione di casi pratici, norme e indicazioni, rivolte sia agli operatori che ai consumatori.

In libreria: "La responsabilità da reato delle piccole imprese"

Il volume riassume orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, oltre a un necessario inquadramento normativo e di best practice del tema, tenendo anche conto dei profili repressivi e preventivi.

Copyright