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Le modifiche al d.lg. 231 proposte dalla Commissione Greco




La Commissione propone modifiche al criterio dell'interesse/vantaggio e al sistema dei modelli organizzativi, con specifiche previsioni per le piccole imprese.


La Commissione di riforma del D

 

MODIFICHE ALLA “PARTE GENERALE” DEL D.LGS. 231/2001 NEL PROGETTO DI RIFORMA DELLA “COMMISSIONE GRECO”

 

 

La Commissione di riforma del D.lgs. 231/2001, c.d. “Commissione Greco”, oltre a prevedere l’inserimento di ulteriori reati presupposto per la corresponsabilizzazione dell’ente, apporta sensibili modifiche anche alla “parte generale” del decreto, anzitutto modificando i criteri oggettivi e soggettivi di ascrizione della responsabilità all’ente e, in secondo luogo, prevedendo dei modelli organizzativi più “leggeri” per le realtà aziendali più piccole.

 

“L’interesse o vantaggio”  nei i reati colposi

L’inserimento della categoria dei reati colposi, pur se in linea con le indicazione della legge delega 300/2000, aveva suscitato parecchie critiche da parte dei primi commentatori proprio in ordine alla concreta utilizzabilità del canone di “interesse o vantaggio” ex art. 5  come  criterio oggettivo di ascrizione all’ente della responsabilità  da reato.

Senza voler approfondire la questione, ciò che gli interpreti più attenti avevano ben evidenziato era la difficoltà che il reato colposo di evento  (morte o lesioni del lavoratore) potesse essere commesso nell’interesse dell’ente.

In realtà il criterio dell’interesse appare prima facie ontologicamente incompatibile con un delitto colposo, commesso appunto senza volizione; ma anche il criterio del vantaggio risulta stridente con la categoria di delitti colposi di evento, proprio per la difficoltà di sostenere nel processo che l’evento lesivo abbia comportato un vantaggio per la società (DOVERE).

I primi osservatori avevano ben notato infatti che di interesse o vantaggio si potesse sì parlare anche in relazione a reati colposi, ma rapportando i due criteri non all’evento delittuoso, bensì alla condotta violativa di regole cautelari la quale aveva reso possibile la consumazione del delitto.

Solo la violazione delle regole cautelari (ovvero di tutte quelle regole, scritte o tacite, che la società deve rispettare per tutelare la salute del lavoratore) può essere commessa nell’interesse dell’ente, e cioè nel tentativo di ottenere un risparmio dei costi di gestione, mentre l’evento lesivo sarebbe da ascriversi all’ente per il fatto stesso di derivare dalla violazione di regole cautelari.

Questa è appunto la via seguita dalla Commissione Greco, che propone la modifica dell’art. 5 prevedendo che, in caso di delitti colposi, i criteri di interesse o vantaggio debbano essere riferiti non già al reato (e quindi all’evento di lesione o morte della vittima) bensì alle condotte costitutive del reato (quindi alla violazione di regole cautelari).

Criteri soggettivi di ascrizione della responsabilità

Anche i criteri soggettivi di ascrizione della responsabilità all’ente collettivo necessiterebbero di essere modificati in seguito all’introduzione di reati presupposto colposi.

L’art. 6 del testo vigente risulta infatti costruito in relazione a reati dolosi, ed infatti “l’elusione fraudolenta del modello” da parte del soggetto agente, come criterio per esentare l’ente da responsabilità, rende perfettamente l’idea del soggetto apicale che, nel commettere il reato, si dissocia dalla politica dell’ente (cristallizzata nel modello) forzando le barriere protettive presenti nel modello stesso.

Tale ragionamento non può però valere nell’ottica di reati colposi, caratterizzati appunto dalla mancata volontà dell’evento; in questi casi chiedere all’ente di dimostrare l’elusione fraudolenta  del modello significherebbe imporgli una sorta di probatio diabolica, perché l’ente dovrebbe dimostrare che il comportamento dell’agente, qualificato come colposo, è stato posto in essere tramite comportamenti fraudolenti (atteggiamento che indica invece un grado elevato di dolo).

La contraddizione in termini è stata già evidenziata da parte della dottrina, che propende per l’inutilizzabilità del criterio della fraudolenta elusione del compliance program nei casi di delitti colposi (GALLETTI; IELO).

Il testo presentato dalla commissione, nel far propri questi rilievi, propone l’inserimento di un nuovo comma dell’art. 6, specificamente dedicato ai reati colposi, in cui si prevede che l’ente possa andare esente da responsabilità qualora riesca a provare, oltre all’adozione e all’efficace attuazione del compliance program e alla adeguata vigilanza da parte dell’Odv, che le condotte costitutive del reato siano state commesse violando specifiche disposizioni del modello organizzativo.

In ambito colposo, quindi, si richiede che l’ente, per esentarsi da responsabilità, abbia costruito, mediante il compliance program, specifiche regole cautelari volte alla prevenzione del rischio di reato colposo; solo in questo caso si potrà dimostrare che la politica dell’ente risultava indirizzata alla prevenzione dei reati in questione.

Infine, si propone la parziale modifica dell’art. 7, relativo ai criteri di ascrizione della responsabilità nei reati commessi da soggetti c.d. sottoposti.

Anche in questo caso, mentre oggi si richiede che il reato sia stato reso possibile dall’insufficiente vigilanza, de iure condendo, in caso di delitti colposi, si richiede che siano le condotte costitutive del reato ad essere state agevolate dall’omessa vigilanza da parte dei vertici aziendali.

 

Le piccole imprese nel d.lgs 231/2001

Come evidenziato nella relazione di accompagnamento al progetto di riforma, è stata proprio l’estensione della responsabilità dell’ente per i reati derivanti da violazione della normativa antinfortunistica a suscitare l’interesse delle piccole imprese per la normativa 231.

La costruzione di un compliance program  risulta spesso eccessivamente onerosa per piccole realtà aziendali, che potrebbero vedersi spinte verso una posizione di non compliance con la 231.

La Commissione ha provato a creare un sistema semplificato per le piccole imprese,  richiedendo che il modello adotti “specifiche regole” (non si parla di protocolli, n.d.r.) volte alla prevenzione del rischio di reato e che esso venga revisionato periodicamente e comunque qualora vengano rilevate violazioni o sia cambiata la struttura organizzativa dell’ente.

Tuttavia, ad avviso di chi scrive, la possibilità di adottare modelli organizzativi più snelli è già presente nell’attuale testo di legge, proprio perché è la normativa stessa a richiedere che il modello sia “calato” nella singola realtà aziendale; è chiaro che tutte le fasi della costruzione del compliance program saranno semplificate in caso di  organizzazioni meno complesse;  anche i protocolli aziendali, fortemente formalizzati in caso di grandi aziende, potranno essere molto più “leggeri” nelle piccole imprese.

Queste indicazioni, però, oltre ad essere già desumibili dalla normativa vigente, rappresentano anche le soluzioni proposte in molte realtà aziendali di dimensioni ridotte e presenti nelle best practices del settore.

A meno di non voler leggere il testo proposto dalla Commissione in altro modo, ovvero come una proposta di eliminazione di alcuni elementi del modello fino ad oggi ritenuti indispensabili: mappatura dei rischi, protocolli aziendali ed apparato sanzionatorio.

Dovrebbe essere giudicato idoneo (in caso di piccola impresa) un modello organizzativo costruito in assenza di una preventiva mappatura dei rischi? I rischi aziendali possono essere correttamente gestiti senza una, seppur embrionale, procedimentalizzazione dell’attività? Ed infine, potrà mai essere avallato da un Giudice penale un modello privo di un apparato sanzionatorio?

Tale interpretazione non può trovare accoglimento; è incontestabile che un modello, per essere efficace, richieda necessariamente la predisposizione di regole cautelari (per la cui costruzione è necessaria la predeterminazione del rischio-reato), una procedimentalizzazione (più o meno spinta) dell’attività e un sistema sanzionatorio che ne favorisca il rispetto da parte dei dipendenti.

Ad ogni modo, dopo aver previsto l’adozione di compliance programs semplificati per le piccole imprese, coerentemente il progetto di riforma si sofferma sulla definizione di piccola impresa ai fini 231.

Ai sensi del decreto sarà definita di piccole dimensioni la società di persone o la società di capitali  nei quali l’organo amministrativo è costituito per la maggioranza da soggetti cui è riferibile il controllo dell’ente ovvero, nel caso di amministratore unico, quando tale soggetto è la persona cui è riferibile il controllo dell’ente, sempre che il numero dei dipendenti non sia superiore a 15 sull’intero territorio nazionale.

Nei casi in cui l’amministratore non sia anche socio controllore si potrà parlare di impresa piccola solo qualora i dipendenti siano inferiori a 10.

 

(Maurizio Arena)


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