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PARTE PRIMA
Esiste, senz’altro, un
interesse di rango costituzionale alla protezione dei “beni ambientali”, che
impone serie risposte alle lesioni dell’ambiente, del paesaggio e (in ultima
analisi) della salute.
Secondo alcune anticipazioni, la Commissione ministeriale per la riforma del
codice penale, presieduta dal dott. Nordio, intende
abolire, in via generale, il reato contravvenzionale
in materia ambientale, trasformando in delitti le fattispecie ritenute di effettivo disvalore per la
collettività.
Tali reati verranno
inseriti nella parte speciale del codice penale e saranno distinti in reati
“contro il patrimonio ambientale”, reati “contro l'assetto del territorio” e
reati “contro le risorse naturali e la salute pubblica” (1).
Il reato contravvenzionale, come è
noto, oltre ad essere caratterizzato da termini di prescrizione brevissimi, non
legittima il ricorso a particolari mezzi di ricerca delle prove, come le
intercettazioni; non consente l'adozione di misure cautelari personali, neppure
nelle ipotesi di flagranza; non può, anche quando è commesso nell’ambito di una
struttura associativa, dar luogo al delitto di associazione per delinquere,
perché l'art 416 c.p. richiede che l'associazione sia finalizzata a commettere
“delitti” e non contravvenzioni.
Il reato contravvenzionale,
inoltre, rende del tutto impossibile la cooperazione internazionale (2).
- La rilevanza del crimine ambientale
Due considerazioni preliminari.
Da un lato, è certamente erronea la considerazione del crimine ambientale come crimine “minore”, ossia non grave; dall’altro, il crimine ambientale rientra tra i reati economici, in virtù del fine di profitto che ne caratterizza la condotta.
A seguito di un'analisi costi-benefici, il mercato illegale relativo all'ambiente risulta economicamente vantaggioso, ossia in grado di far conseguire alti profitti con bassi rischi di punizione, proprio per la menzionata difficoltà di raccogliere prove della responsabilità degli autori degli illeciti.
Tale difficoltà è collegata in
particolare, come si è detto, ai mezzi investigativi utilizzabili, alla
funzione meramente sanzionatoria del diritto penale
ambientale, alla frammentarietà delle singole legislazioni nazionali ed alla
scarsa effettività del sistema sanzionatorio.
Il delitto ambientale è, allora, da intendersi quale vero e proprio “abuso
dell'ambiente a fini di profitto” e la criminalità organizzata in questo
settore manifesta sempre una struttura aziendale (3).
Sotto questo profilo, appare
necessario rafforzare il sistema di prevenzione contro il riciclaggio in modo
da renderlo funzionale anche alla prevenzione del mercato criminale
dell'ambiente, al quale risultano spesso collegate le
ipotesi di corruzione o collusione dei pubblici ufficiali, incaricati della
gestione o del controllo delle fasi procedimentali
relative alla disciplina amministrativa dell'ambiente.
Ai fini di un'efficace predisposizione dell'apparato sanzionatorio,
è, poi, di evidente importanza l’attribuzione di un ruolo di rilievo
all'attività post-delictum, che si manifesti
attraverso il ripristino, la bonifica, il risarcimento ed altre forme di
allineamento agli standard di prevenzione e di sicurezza ambientale.
- Il quadro internazionale ed europeo.
La Convenzione per la tutela
dell'ambiente attraverso il diritto penale (Consiglio d'Europa, 4 novembre
1998) è il primo strumento internazionale che impone agli Stati di
criminalizzare una serie di condotte produttive di danno o pericolo per
l'ambiente (4).
In particolare, lo strumento pattizio impone
l'obbligo di incriminare, come reati dolosi, le seguenti condotte di danno o di
messa in pericolo dell'ecosistema:
1) lo scarico, l'emissione o l'introduzione nell'aria, nel suolo o nell'acqua di sostanze o radiazioni ionizzanti che abbiano causato la morte o lesioni gravi alla persona o abbiano creato il pericolo di tali eventi dannosi;
2) lo scarico, l'emissione e l'introduzione illegale (ossia in violazione di disposizioni amministrative volte alla tutela ambientale) delle predette sostanze nell'aria, nell'acqua e nel suolo, quando provochino o possano provocare danni rilevanti all'uomo o il deterioramento durevole e sostanziale dei singoli beni riconducibili all'ecosistema;
3) la raccolta, il trattamento, lo stoccaggio, il trasporto, l'esportazione o l'importazione di rifiuti pericolosi svolti illegalmente, che causino o possano causare la morte o lesioni gravi all'uomo o danni sostanziali alla qualità dell'aria, del suolo, dell'acqua, degli animali o delle piante;
4) la realizzazione, il trattamento, lo stoccaggio, l'uso, il trasporto, l'esportazione o l'importazione di materiale radioattivo od altre sostanze radioattive pericolose che provochino o possano provocare gli effetti sull'uomo o sull'ecosistema sopraindicati.
Lo scopo della Convenzione è,
dunque, di imporre agli Stati l'introduzione anche di fattispecie di pericolo,
anticipando così la soglia di tutela del bene, nonché
la predisposizione di una responsabilità a titolo di colpa, quanto meno in
riferimento ai casi di colpa grave (articolo 3).
La Convenzione richiama anche la necessità di introdurre sanzioni adeguate alla
gravità dei crimini, attraverso la previsione di sanzioni di tipo detentivo e
pecuniario; gli Stati sono invitati anche a considerare l'opportunità di
stabilire l'obbligo di ripristinare, laddove possibile, le migliori condizioni
ambientali.
Di grande rilievo anche la disposizione (articolo 7)
che impone l'utilizzo della misura della confisca dei profitti ottenuti dai
reati di tipo ambientale, ivi compresa la confisca “per equivalente” del
profitto tratto dal singolo o dalla persona giuridica a seguito della
commissione di fatti offensivi per l'ambiente (ossia la confisca del valore
corrispondente ai profitti o ai beni ottenuti illecitamente).
Di pari rilievo è la disposizione (articolo 9) che stabilisce la necessità di
prevedere una responsabilità, sia essa penale o di tipo amministrativo,
conseguente al crimine ambientale quando emerga il coinvolgimento diretto della
persona giuridica (5).
Rilievo centrale assume, poi, la decisione quadro 2003/80/GAI in materia di tutela penale
dell'ambiente, approvata dal Consiglio dei Ministri dell'Unione europea il 27
gennaio 2003, che si inserisce all'interno di un contesto complessivo di
strumenti internazionali: la già citata Convenzione del Consiglio d'Europa, la
decisione che istituisce il mandato di arresto europeo, la decisione quadro
relativa al blocco dei beni, la Convenzione di Basilea sul movimento
transfrontaliero di rifiuti, adottata a Basilea il 22 marzo 1989, in cui gli
Stati sono espressamente invitati ad introdurre una norma penale che punisca il
traffico illecito dei rifiuti.
La disposizione di cui all'articolo 2 della decisione quadro 2003/80 impone
agli Stati membri di adottare provvedimenti necessari per rendere perseguibili
penalmente, in virtù del proprio diritto interno, i reati intenzionali, ossia
dolosi, cioè le condotte che possono risultare, con
coscienza e volontà, lesive dell'ambiente e della salute umana.
Di immediata evidenza è lo stretto collegamento,
indicato nella lettera a) del citato articolo 2, tra il bene ambiente ed
il bene della incolumità individuale: il reato è certamente di danno alle
persone, ma reca la peculiarità di avere quale presupposto fattuale,
e anche giuridico, la lesione o messa in pericolo del bene ambiente (attraverso
l'emissione o l'immissione nell'aria, nel suolo, nelle acque di sostanze o
radiazioni ionizzanti, tali da provocare la morte o gravi lesioni a persone).
Alla lettera b) dal citato articolo 2, sono previste condotte
non solo di danno, ma anche di messa in pericolo di determinati aspetti
del bene ambiente, derivante dalla violazione di prescrizioni legislative,
soprattutto se attuative di disposizioni del diritto
comunitario: in questo caso il bene primario da salvaguardare non è tanto la
persona umana nella sua integrità biologica, quanto piuttosto il bene
ambientale propriamente inteso (6).
La lettera c) è dedicata al problema dei rifiuti: viene
imposta la criminalizzazione dell'eliminazione, del trattamento, del deposito,
del trasporto, dell'esportazione o dell'importazione illecita di rifiuti,
compresi i rifiuti pericolosi, che provochino o possano provocare la morte o
gravi lesioni alle persone ovvero danni rilevanti alla qualità dell'aria, del
suolo o delle acque, o alla fauna o flora.
Oggetto di attenzione della decisione-quadro, sempre
sotto il duplice profilo delle condotte aggressive di danno o di pericolo, sono
pure le condotte di funzionamento illecito di impianti in cui sono svolte
attività pericolose e la gestione illecita di materiali nucleari o altre
sostanze radioattive pericolose (lettere d) ed e) dell'articolo
2).
Le lettere f) e g) riguardano, invece, problematiche connesse al
commercio illecito di specie di animali o vegetali
protette e di commercio illecito di sostanze idonee a ridurre lo strato di
ozono.
Il quadro degli obblighi di incriminazione è
completato dalla disposizione di cui all'articolo 3 della decisione che obbliga
alla predisposizione di fattispecie penali anche per le condotte di negligenza,
quanto meno per i casi di negligenza grave.
Sul versante sanzionatorio, oltre a raccomandare il
ricorso a sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive, comprendenti,
per lo meno nei casi più gravi, pene privative della libertà, la decisione
quadro impone agli Stati membri di adottare i provvedimenti necessari affinché
le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili dei fatti di
criminalità ambientale commessi, a loro vantaggio, da coloro
che sono muniti di un reale potere gestionale e di controllo, prevedendo
idonee sanzioni che vengono dettagliatamente indicate all'articolo 7
(esclusione da un godimento di un vantaggio o aiuto pubblico, divieto
temporaneo o permanente di esercitare un'attività industriale o commerciale,
assoggettamento a sorveglianza giudiziaria, provvedimento giudiziario di
scioglimento, obbligo di adottare misure specifiche al fine di evitare
ulteriori conseguenze lesive).
La tutela dell'ambiente trova ora una nuova cornice nel Trattato costituzionale
europeo, firmato a Roma il 29 ottobre 2004, che agli articoli I-2 afferma:
«l'Unione si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su una
crescita economica equilibrata (...) su un'economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al
progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della
qualità dell'ambiente».
Nello stesso Trattato viene auspicata l'introduzione negli Stati membri di
sanzioni adeguate per i comportamenti suscettibili di porre in pericolo siffatto
bene primario.
Questo enunciato, per la fonte da cui è posto, assume un rilievo fondante,
superiore ad ogni altro livello normativo, comunitario ed interno, diventando,
pertanto, la linea guida per eccellenza d'ogni intervento riformatore in
materia ambientale, sia del legislatore europeo sia di quello nazionale.
All'articolo III-193, è scritto che «l'Unione definisce e attua politiche comuni e azioni e opera per assicurare un elevato
livello di cooperazione in tutti i settori delle relazioni internazionali al
fine (tra l'altro): (...) di contribuire alla messa a punto di misure
internazionali volte a preservare e a migliorare la qualità dell'ambiente e la
gestione sostenibile delle risorse naturali mondiali, al fine di assicurare lo
sviluppo sostenibile».
Si tratta di un principio che assume particolare importanza nei rapporti fra l'Unione, gli stati che la compongono, ed i paesi extra U.E., poiché significa porre a carico dei paesi dell'Unione non solo un ruolo di promozione della sensibilità ambientale in ambito internazionale, ma anche il compito di dare impulso decisivo a tutti quegli strumenti pattizi ed a quegli organismi, soprattutto in ambito O.N.U., che mirano alla realizzazione di un'armonizzazione delle legislazioni con riferimenti ai crimini più gravi (7).
In tale prospettiva, la Convenzione dell'O.N.U. sulla criminalità organizzata transnazionale del 2000, per la natura aperta del catalogo dei possibili reati scopo ivi contenuto, ben si presta ad offrire un efficace strumento di contrasto alla criminalità ambientale, posto che quest'ultima sempre più frequentemente assume i caratteri di crimine organizzato (8).
- Le criticità del sistema sanzionatorio
vigente in materia di ambiente.
Molteplici sono i fattori che
rendono, allo stato, di scarsa efficacia e di modesta dissuasività
la protezione penale apprestata dal nostro sistema all'ambiente.
In primo luogo, l'assenza di un intervento-quadro, che disciplini armonicamente
la materia (9); l'introduzione di sanzioni penali, infatti, è stata per lo più
l'effetto di interventi occasionali.
Inoltre, il sistema sanzionatorio è costituito, per
lo più, come si è già detto, da contravvenzioni, con tutti i problemi che si
sono menzionati: la pur significativa eccezione di cui
all’art 53 bis del Decreto Ronchi presenta difficoltà applicative con peculiare
riferimento ai rifiuti radioattivi, in particolare per le difficoltà
interpretative connesse alle definizioni di «rifiuti ad alta radioattività» e
di «ingenti quantitativi» (10).
Del tutto privo di sanzione penale è, inoltre, il c.d. dumping marino in materia di rifiuti (11).
Fino ad oggi la criminalità ambientale è stata spesso vista come una sorta di appendice della criminalità di impresa; sicché, non senza
ritardo, si è preso atto che l'ambiente non è solo esposto agli attacchi
interessati dell'imprenditore preoccupato di ridurre i costi di produzione
tagliando le spese di salvaguardia ambientale, ma soprattutto è oggi una
risorsa, o al pari degli stupefacenti o degli appalti, attraverso cui la criminalità
organizzata ricava profitti, anche in chiave transnazionale (12).
Completa il quadro il versante dei rapporti collusivi delle organizzazioni
criminali con gli organi della pubblica amministrazione deputati all'esercizio
delle funzioni di controllo e vigilanza.
I delitti in materia ambientale sono spesso collegati con delitti di falso e
con reati contro la pubblica amministrazione (13).
Il contrasto alla criminalità ambientale dovrebbe, pertanto, passare attraverso
incisive modifiche normative che rendano chiaro ed
efficacemente presidiato il quadro normativo di riferimento, anche mediante
un'opportuna modulazione delle fattispecie già esistenti in tema di delitti
contro la fede pubblica e contro la pubblica amministrazione.
E tuttavia, accanto a tali indifferibili interventi normativi, è indispensabile
agire sulle cause sociali ed economiche, e prim'ancora
culturali, che hanno determinato quel vuoto occupato dalle
organizzazioni criminali: facendo crescere la cultura di rispetto per
l'ambiente, predisponendo opportuni programmi educativi, pretendendo che le
pubbliche amministrazioni si attrezzino per affrontare e risolvere, con
interventi strutturali (propri di un approccio autenticamente politico e non
meramente gestionale dell'emergenza), l'intero ciclo dello smaltimento dei
rifiuti, stimolando efficacemente e premiando le imprese sane ad investire in
tecnologie ecocompatibili, di contro sanzionando
adeguatamente i comportamenti trasgressivi (14).
(Maurizio Arena)
1) Per quanto concerne, in particolare, la gestione
illecita dei rifiuti, nel testo di riforma verrà
articolata in quattro ambiti specifici: la gestione dolosa, quella colposa,
quella illecita mediante organizzazione e le falsità documentali.
2) Sotto questo profilo, un generale
apprezzamento è stato espresso per la scelta fatta dal legislatore con la legge
23 marzo 2001 n. 93, la quale ha introdotto, nel d.lg.
n. 22 del 1997, l'art 53 bis che
punisce come delitto l'attività organizzata per il traffico illecito di
rifiuti, con pene aggravate se si tratta di
particolari tipi di rifiuti pericolosi.
3) Appare utile segnalare al riguardo che, secondo
autorevole dottrina, il crimine ambientale presenta caratteristiche di «transaction crime»: l'associazione criminale, che opera
nel mercato del crimine ambientale, si caratterizza per la struttura di impresa che assume. Essa riveste un ruolo di legalità
apparente all'interno del mercato, caratterizzandosi per una gestione manageriale della propria attività (mediante un attento
esame del rapporto costo del crimine e benefici) oltre che per alcune
specificità, costituite dalla necessità di sviluppare alte capacità di
comunicazione all'interno del mercato stesso (soprattutto in relazione ai
traffici transfrontalieri) e dalla alta concorrenza di altre organizzazioni
imprenditoriali.
4) Il contenuto specifico della Convenzione risulta particolarmente rilevante in quanto la stessa, è
stata espressamente richiamata al punto 10 del preambolo della decisione quadro
dell'Unione Europea 2003/80/GAI
5) Queste due previsioni rappresentano una chiara presa
di posizione circa l'appartenenza del reato ambientale alla criminalità di tipo
economico, caratterizzata dal fine di profitto, e prevalentemente riconducibile
a strutture di impresa.
6) Mentre nell'ipotesi prevista alla lettera a)
del citato articolo 2 ciò che rileva è la contaminazione dolosa dell'ambiente
idonea di per sé a provocare danni direttamente alle persone, nell'ipotesi
prevista alla lettera b) è criminalizzata la contaminazione ambientale
non autorizzata e cioè quella che supera una normale
soglia di tollerabilità.
7) In tale ambito si segnala l'UNEP (United Nations Environment Program), con le numerose iniziative a
livello mondiale all'insegna dell'obiettivo: «Environment
for development». Una
disciplina unitaria, che accomuni tutti gli Stati, è di grande
utilità, sia per garantire omogeneità nella tutela dell'ambiente, sia
per evitare tentazioni di allocare attività pericolose per la salute dell'uomo
in paesi caratterizzati da legislazioni più permissive.
8) In corso di ratifica: cfr.
AS 2351
9) ancorché sia stata pubblicata la legge 15 dicembre
2004, n. 308 recante "Delega al Governo per il riordino, il coordinamento
e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta
applicazione" (Gazzetta Ufficiale n. 302 del 27 dicembre 2004),
in relazione alle seguenti materie (art. 1):
“a) gestione
dei rifiuti e bonifica dei siti contaminati;
b) tutela delle acque dall'inquinamento e gestione delle
risorse idriche;
c) difesa del suolo e lotta
alla desertificazione;
d) gestione delle aree
protette, conservazione e utilizzo sostenibile degli esemplari di specie
protette di flora e di fauna;
e) tutela risarcitoria
contro i danni all'ambiente;
f) procedure per la
valutazione di impatto ambientale (VIA), per la valutazione ambientale
strategica (VAS) e per l'autorizzazione ambientale integrata QPPQ;
g) tutela dell'aria e
riduzione delle emissioni in atmosfera”.
Alcuni principi e criteri direttivi nei confronti dell’Esecutivo sono
direttamente connessi a quanto scritto finora:
“a) garanzia della salvaguardia, della tutela e del miglioramento della qualità
dell'ambiente, della protezione della salute umana, dell'utilizzazione accorta
e razionale delle risorse naturali, della promozione sul piano internazionale
delle norme destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello locale,
regionale, nazionale, comunitario e mondiale, come indicato dall'articolo 174
del Trattato istitutivo della Comunità europea, e successive modificazioni;
b) conseguimento di maggiore efficienza e tempestività dei controlli
ambientali, nonche' certezza delle sanzioni in caso
di violazione delle disposizioni a tutela dell'ambiente;
c) invarianza degli oneri a carico della
finanza pubblica;
d) sviluppo e coordinamento, con l'invarianza
del gettito, delle misure e degli interventi che prevedono incentivi e
disincentivi, finanziari o fiscali, volti a sostenere, ai fini della
compatibilità ambientale, l'introduzione e l'adozione delle migliori tecnologie
disponibili, come definite dalla direttiva 96/61/CE del Consiglio, del 24
settembre 1996, nonche' il risparmio e l'efficienza
energetica, e a rendere più efficienti le azioni di tutela dell'ambiente e di
sostenibilità dello sviluppo, anche attraverso strumenti economici, finanziari
e fiscali;
e) piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie, al fine di
garantire elevati livelli di tutela dell'ambiente e di contribuire in tale modo
alla competitività dei sistemi territoriali e delle imprese, evitando fenomeni
di distorsione della concorrenza;
f) affermazione dei principi comunitari di prevenzione, di precauzione,
di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali e del
principio "chi inquina paga";
g) previsione di misure che assicurino la tempestività e l'efficacia dei
piani e dei programmi di tutela ambientale, estendendo, ove possibile, le
procedure previste dalla legge 21 dicembre 2001, n. 443;
h) previsione di misure che assicurino l'efficacia dei controlli e dei
monitoraggi ambientali, incentivando in particolare i programmi di controllo
sui singoli impianti produttivi, anche attraverso il potenziamento e il
miglioramento dell'efficienza delle autorità competenti;
i) garanzia di una più efficace tutela in materia ambientale anche
mediante il coordinamento e l'integrazione della disciplina del sistema sanzionatorio, amministrativo e penale, fermi restando i
limiti di pena e l'entità delle sanzioni amministrative già stabiliti dalla
legge;
l) semplificazione, anche mediante l'emanazione di regolamenti, ai sensi
dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, delle procedure
relative agli obblighi di dichiarazione, di comunicazione, di denuncia o di
notificazione in materia ambientale. Resta fermo quanto previsto per le opere di interesse strategico individuate ai sensi dell'articolo
1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, e successive modificazioni;
m) riaffermazione del ruolo delle regioni, ai sensi dell'articolo 117
della Costituzione, nell'attuazione dei principi e criteri direttivi ispirati
anche alla interconnessione delle normative di settore in un quadro, anche
procedurale, unitario, alla valorizzazione del controllo preventivo del sistema
agenziale rispetto al quadro sanzionatorio
amministrativo e penale, nonche' alla promozione
delle componenti ambientali nella formazione e nella ricerca;
n) adozione di strumenti economici volti ad incentivare le piccole e
medie imprese ad aderire ai sistemi di certificazione ambientale secondo le
norme EMAS o in base al regolamento (CE) n. 76112001 del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 19 marzo 2001 e introduzione di agevolazioni amministrative
negli iter autorizzativi e di controllo per le imprese certificate
secondo le predette norme EMAS o in base al citato regolamento (CE) n. 76112001
prevedendo, ove possibile, il ricorso all'autocertificazione”.
Si richiede inoltre di conseguire l'effettività delle sanzioni
amministrative per danno ambientale mediante l'adeguamento delle procedure di irrogazione e delle sanzioni medesime; rivedere le
procedure relative agli obblighi di ripristino, al fine di garantire
l'efficacia delle prescrizioni delle autorità competenti e il risarcimento del
danno; definire le modalità di quantificazione del danno; prevedere, oltre a
sanzioni a carico dei soggetti che danneggiano l'ambiente, anche meccanismi
premiali per coloro che assumono comportamenti ed effettuano investimenti per
il miglioramento della qualità dell'ambiente sul territorio nazionale
10) A tale riguardo è stato rilevato, in primo luogo, che,
più che di «alta radioattività», dovrebbe farsi riferimento, in modo
tecnicamente più appropriato, all'alta attività (così nella Guida
Tecnica n. 26 dell'ENEA, dal titolo «Gestione dei rifiuti radioattivi»);
inoltre, il parametro dell'«ingente quantitativo», se nel caso delle tipologie
dei rifiuti convenzionali, classificati nell'allegato
«A» del decreto legislativo n. 22 del 1997, assume un significato univoco e
coerente, per quanto concerne i rifiuti radioattivi diviene formula oscura e di incerta applicazione, in quanto le materie radioattive,
ivi compresi i rifiuti, sono oggetto di peculiari discipline che prevedono
soglie specifiche per ogni radionuclide.
11) Le cronache giudiziarie di questi ultimi anni hanno
portato alla luce molteplici casi di cosiddette «navi a perdere», ovvero di
navi fatte affondare con il relativo carico di rifiuti, talora anche tossici e
radioattivi, conclusisi con decreti di archiviazione
da parte dell'Autorità Giudiziaria proprio per la mancanza di una norma penale incriminatrice nella quale poter inquadrare tali condotte.
12) Si tratta di organizzazioni
criminali capaci di seguire e gestire l'intera sequenza relativa al trattamento
dei rifiuti, non più solo accontentandosi di imporre il pizzo alle imprese
autorizzate alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, ma
subentrando direttamente nell'intera filiera economica relativa alla gestione
dei rifiuti.
13) La nuova «missione» delle organizzazioni criminali è
inserirsi, oltre che negli appalti delle opere pubbliche, negli appalti dei
servizi, che non risultano muniti, a differenza dei
primi, di presidi di vigilanza.
14) È necessario, pertanto, procedere nell'azione di responsabilizzazione delle aziende del settore, che appaiono
in molti casi più inclini alla ricerca del massimo profitto che non ad uno
smaltimento corretto e pertanto più oneroso. È altrettanto necessaria un'azione
di responsabilizzazione degli enti locali, poiché la
debolezza delle funzioni di controllo amministrativo è una delle condizioni
principali per la penetrazione nel settore degli operatori più spregiudicati e,
quindi, delle organizzazioni criminali di riferimento.