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I Reati Societari - Antiriciclaggio

Privacy e antiriciclaggio


Il riciclaggio non si combatte con la privacy, di Ranieri Razzante *

Il riciclaggio non si combatte con la privacy

 

 

In un periodo in cui autorevoli esponenti della magistratura e delle forze dell’ordine lanciano ripetuti allarmi sul possibile risveglio della criminalità organizzata e del terrorismo, mentre si pubblicano dati assai preoccupanti sull’usura nel nostro paese, mentre il riciclaggio di denaro sporco continua ad alimentare l’economia sommersa e le imprese malavitose come non mai in tutto il mondo, una pronunzia dell’Autorità Garante della Privacy richiama la nostra attenzione, purtroppo anche questa preoccupata (e preoccupante).

Nella sua Newsletter n. 258 del 19 giugno il Garante dà conto di un proprio parere – espresso su richiesta del Ministero dell’Economia – relativamente agli schemi dei regolamenti di attuazione del Decreto legislativo n. 56 del 2004, recante l’adeguamento della nostra legislazione alla c.d. “Seconda Direttiva Europea Antiriciclaggio”.

Questi decreti, che si attendono da tempo, regolamenteranno gli adempimenti degli intermediari finanziari, dei liberi professionisti e di altri soggetti non finanziari per contrastare il dilagare del fenomeno dell’investimento in attività lecite di capitali provenienti da reato.

Di seguito tenterò di riassumere le posizioni espresse dal garante con relative (mie) doglianze e controdeduzioni tecniche le quali, pur se fondate su anni di studio e consulenza in questo settore non intendono avere pretese di indefettibilità; semmai, unicamente di proporre argomenti di riflessione e contraddittorio in una materia troppo delicata da sempre, ma mai, ripeto, come in questo momento storico.

<![if !supportLists]>a)      <![endif]>Nel punto 1 del documento l’Authority richiede che nei tre decreti presentati dal Ministero si inserisca l’esplicita previsione che il “trattamento dei dati personali connesso all’adempimento degli obblighi di identificazione, conservazione e segnalazione resta soggetto alle disposizioni del Codice in materia di protezione dei dati personali (…)”. Peccato che l’articolo 8 del Codice della Privacy (D.Lgs. n. 196/2003) preveda testualmente al comma 2 lett. a), che i diritti di accesso ai dati personali da parte di chi vi abbia interesse sono negati se detti dati sono stati trattati “in base alle disposizioni del D.L. 3 maggio 1991, n. 143, convertito con modificazioni dalla legge 5 luglio 1991, n.197, e successive modificazioni, in materia di riciclaggio”.

Ad abundantiam, lo stesso comma 2, alle lett. g) ed h), riserva le medesime conseguenze ai dati raccolti, rispettivamente, “per ragioni di giustizia” oppure “ai sensi dell’art. 53” (Pubblica sicurezza). È facile quindi cogliere la svista grossolana ed inconfutabile nella quale è incorso il Garante, in questo non aiutato certamente dalle bozze ministeriali, che hanno lanciato il c.d. “sasso nello stagno” prevedendo il trattamento (e connesse autorizzazioni della clientela) di dati non trattabili!

b) Al punto 2 della missiva il Garante si preoccupa di consigliare una descrizione “in termini precisi” degli obblighi di identificazione e registrazione, onde poter trattare solo dati “pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità perseguite”.

In questo caso una lettura dell’art. 2 della legge n. 197/91 e dei decreti ministeriale relativi al c.d. “Archivio Unico Informatico” avrebbe tranquillizzato l’estensore del parere, in quanto non è possibile per gli intermediari finanziari (e per gli altri soggetti sino ad oggi obbligati) esorbitare rispetto alla tassativa indicazione dei dati della clientela che devono essere acquisiti (nessuno di questi risulta, peraltro, “sensibile” ai sensi della legge sulla Privacy), pena l’applicazione di pesanti sanzioni pecuniarie da parte del Ministero dell’Economia.

Sulla confusione che regna al paragrafo 2.1 della lettera del Garante tra “soggetti con potere di rappresentanza” e soggetti che semplicemente “agiscano per conto terzi”, entrambi – a diverso titolo – da identificarsi (contrariamente a quanto afferma il Garante) ai sensi della normativa contro il riciclaggio, sarebbero quanto mai opportuni approfondimenti banalmente ricavabili dai testi del nostro diritto commerciale o civile!

Diamo invece all’Authority per la privacy il beneficio dell’ignoranza colposa (?!) sul concetto di “operazione frazionata” (cfr. par. 2.2), che è espressione sintetica di quanto previsto dalla legge primaria sempre all’art. 2, comma 2, e la cui fonte era (ed è ) da rinvenirsi in autoregolamentazioni di settore, poi però certificate da decreti e pareri del Tesoro e dal Comitato Antiriciclaggio costituito presso lo stesso Dicastero.

c) Il par. 3 ha addirittura del grottesco quando obbliga gli operatori che si affacceranno per la prima volta nel mondo dell’antiriciclaggio (liberi professionisti e commercianti) a non seguire l’alternativa -  correttamente prospettata dal Ministero, così come si fece anni fa per gli intermediari finanziari - tra “registri cartacei” e “archivi informatici” per la registrazione e conservazione dei dati della clientela.

Ciò significa che il piccolo studio professionale o il commerciante di preziosi, al pari di un intermediario finanziario, dovrà sobbarcarsi oneri informatici di non poco rilievo per mantenere evidenza dei movimenti sopra ai 12.5000 Euro, per ovvi motivi assai meno frequenti e consistenti di quelli che avvengono nel settore finanziario.

d) Ma l’apice dell’incongruenza si raggiunge nel paragrafo 4 di questa delibera della quale vogliamo augurarci il Ministero non terrà conto (poiché non vincolante), laddove si chiede di “meglio dettagliare” i dati da acquisire ai fini della c.d. segnalazione di operazione sospette, cardine della lotta al riciclaggio. Ciò al fine di evitare, anche qui, trattamenti di dati “erronei, incompleti e sovrabbondanti rispetto alle finalità perseguite”.

Lunga e defatigante sarebbe la disamina delle norme violate, di diritto e di fatto, soprattutto da quest’ultima statuizione.

Ci basti ricordare che la segnalazione di operazioni sospette ha carattere “riservato”, che la violazione della riservatezza è già punita dalla legge (cfr. art. 3-bis della legge 197/91), che il cliente segnalato non può (e non deve!) saperlo, che la segnalazione in parola non costituisce notizia di reato, che le cautele imposte dalle istruzioni di vigilanza dettate sulla materia dalla Banca d’Italia nel 2001 sono esaustive e tranquillizzanti.

Visto che i riciclatori di denaro sporco, che finanziano attività terroristiche e comunque criminali, “fatturano” ogni anno tra il 7 e il 10 % del PIL mondiale, sottraendo ricchezza al mercato e producendo anche vittime ( gli attentati dell’11 settembre e di Madrid, secondo fonti ufficiali, sono stati resi possibili anche dall’esistenza del riciclaggio!), bisognerebbe forse stare più attenti nel maneggiare argomenti così delicati e questioni giuridiche così complesse.

La giostra dei poteri delle Authority nel nostro Paese sta registrando un livello di crescente, preoccupante approssimazione e inquinamento della politica: forse è ora di intervenire prima che qualcuno ne rimanga vittima.

(Ranieri Razzante)

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