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I reati ambientali nel d.lg.231: in attesa della vera riforma






Il principio introdotto è importante, ma la natura contravvenzionale degli illeciti richiamati rischia di svuotare di contenuto la novità.
 

 

E’ stato approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri del 7 luglio scorso il decreto legislativo di recepimento della direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente, nonché della direttiva 2009/123/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi.

Per quel che qui interessa, viene introdotta nel nostro ordinamento giuridico la responsabilità degli enti collettivi in relazione alla commissione di reati ambientali (nuovo art 25-undecies del d.lg. 231/2001).

Tale introduzione – peraltro già prefigurata nella legge-delega n. 300 del 2000 - è importante perché, per la prima volta, si responsabilizza l’ente in relazione ad illeciti ambientali, commessi nel suo interesse o a suo vantaggio e si prevedono a suo carico sanzioni pecuniarie e, per talune fattispecie, sanzioni interdittive.

Va tuttavia rilevato che, salva l’introduzione degli artt 727-bis (Uccisione, distruzione, cattura, prelievo, detenzionedi esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette) e 733-bis c.p. (Distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto), non viene toccato il diritto penale ambientale richiamato dall'art 25-undecies.

La tutela penale dell'ambiente è, come è noto, realizzata quasi esclusivamente mediante contravvenzioni.

I reati contravvenzionali non hanno sufficiente efficacia deterrente, sono ad elevato rischio di prescrizione, non consentono l’applicazione di misure cautelari personali e neppure le intercettazioni telefoniche ed ambientali.

Nella Relazione illustrativa al decreto approvato da ultimo si legge:

L’ordinamento giuridico nazionale sanziona gran parte delle condotte contemplate dalla direttiva 2008/99/CE come violazioni formali, ossia come reati di pericolo astratto, punite in via contravvenzionale. Il riferimento è ovviamente alle disposizioni contenute nel c.d. “Codice dell’ambiente”, ossia il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il quale sanziona le violazioni concernenti gli scarichi di acque all’articolo 137, quelle relative ai rifiuti agli articoli 256 (gestione non autorizzata), 257 (bonifica dei siti), 258 (violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari), 259 (spedizioni transfrontaliere) e 260 (traffico illecito di rifiuti), quelle relative all’esercizio di attività pericolose all’art. 279 (ex art. 25 del d.P.R. 203/1988). A tali norme vanno aggiunte le sanzioni previste dalla legge n.157/1992 (“Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), dalla legge n. 150/1992 (“Disciplina dei reati relativi all'applicazione in Italia della convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il 3 marzo 1973, di cui alla legge 19 dicembre 1975, n. 874, e del regolamento (CEE) n. 3626/82, e successive modificazioni, nonché norme per la commercializzazione e la detenzione di esemplari vivi di mammiferi e rettili che possono costituire pericolo per la salute e l'incolumità pubblica”), nonchè alcune norme previste dal codice penale, quali l’articolo 544 bis (uccisione di animali), 727 (abbandono di animali), 674 (getto pericoloso di cose, che riecheggia il “quasi-delitto” giustinianeo dell’”actio de effusis vel ejectis”), 733 (danneggiamento del patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale), 734, (distruzione o deturpamento di bellezze naturali), cui va aggiunto l’articolo 30 della legge n. 394/1991 (“Legge quadro sulle aree protette”).Per quanto concerne la tutela penale dell’ozono, avverso comportamenti atti a ridurne lo strato,trova già applicazione l’articolo 3 della legge n. 549/1993 (“Misure a tutela dell'ozono stratosferico e dell'ambiente”).

 

Valga, pertanto, una considerazione preliminare: il diritto penale ambientale non è, allo stato, munito di quelle sanzioni "proporzionate, efficaci e dissuasive" volute dalla Direttiva (in questo senso da ultimo, A. Scarcella, relazione alla tavola rotonda sui reati ambientali, Università La Sapienza, Roma, 8 luglio 2011).

La Relazione illustrativa sulla specifica questione, “mette subito le mani avanti”:

Considerati i limiti di pena contenuti nell’articolo 2 della Legge Comunitaria, che il legislatore delegante non ha inteso derogare con specifico riguardo alle direttive in esame, il recepimento delle stesse non può essere assicurato attraverso un completo ripensamento del sistema dei reati contro l’ambiente, mediante il loro inserimento sistematico all’interno del codice penale sostanziale e la previsione come delitti delle più gravi forme di aggressione. Tale operazione potrà costituire oggetto di separato e successivo intervento normativo.

 

Tale, auspicabile, intervento normativo (la "vera" riforma del diritto penale ambientale di cui si parla da anni) dovrà dare rilievo - quantomeno - ai sistemi di gestione ambientale (alla stregua di quanto previsto dall’art 30 d.lg. 81/2008 in materia di sicurezza sul lavoro, che fa riferimento allo standard OHSAS 18001) e alla collaborazione attiva dell’ente.

Sotto quest’ultimo profilo, il D.d.l. S 1076, recante “Modifiche al codice penale in materia di delitti contro l’ambiente”, prevede l’inserimento nel d.lg. 231 di un art 26-bis (Collaborazione della persona giuridica in materia ambientale) che recita:

1. In riferimento ai delitti in materia ambientale indicati all’articolo 25-sexies, la sanzione amministrativa pecuniaria e‘ ridotta dalla metà a due terzi se l’ente, immediatamente dopo il fatto, porta a conoscenza della pubblica autorità l’avvenuta commissione del reato.

2. Nel caso previsto dal comma 1 non può essere disposta la pubblicazione della sentenza di condanna ai sensi dell’articolo 18.

 

Una simile disposizione introdurrebbe expressis verbis il c.d. self reporting nel d.lg. 231: la collaborazione attiva (la c.d. auto-denuncia) comporterebbe la riduzione della sanzione pecuniaria e l’esclusione della pubblicazione della sentenza di condanna.

La collaborazione rilevante consisterebbe insomma – per usare termini cari all’Environmental Protection Agency statunitense - nella voluntary e prompt disclosure, vale a dire nella volontaria ed immediata denuncia all’Autorità giudiziaria o ad altra autorità che a quella debba riportare.

Qualche ulteriore riflessione (sollecitata da A. Manna, relazione alla tavola rotonda sopra menzionata) merita l’istituto della prescrizione in relazione alle prossime applicazioni dell’art 25-undecies.

Le contravvenzioni richiamate da tale ultima disposizione si prescrivono in 4 anni (salvo l’aumento di un quarto nelle ipotesi di atti interruttivi ex art 161 c.p.).

E’ opportuno precisare che, ai sensi dell’art 22 d.lg. 231, le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato. Interromponolaprescrizionela richiesta di applicazione di misurecautelariinterdittive(che però è possibile solo per certe fattispecie) elacontestazionedell'illecito amministrativo: pereffettodell’interruzioneiniziaunnuovo periodo di prescrizione. Sel'interruzionee'avvenutamediantelacontestazione dell'illecito amministrativo dipendente da reato, la prescrizione non correfinoalmomentoincuipassa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio.

L’art 22 va tuttavia coordinato con l’art 60: la prescrizione del reato comporta la decadenza dalla contestazione dell’illecito all’ente.

Infine, al di fuori del disposto di cui all’art 60 vale il principio di autonomia ex art 8: l’estinzione del reato per causa diversa dall’amnistia (ad esempio: per prescrizione ma anche per l’oblazione ex artt 162 e 162-bis c.p.) non estingue la responsabilità dell’ente.

Quindi l’ipotesi (provocatoria?) sul tavolo è la seguente: il pubblico ministero avrà tutto l’interesse a procedere anche nei confronti dell’ente perché il regime della prescrizione ex d.lg. 231 è “più favorevole”, in ottica accusatoria, rispetto a quello previsto per il reato contravvenzionale.

Se si riesce a contestare l’illecito all’ente prima del decorso del termine di prescrizione previsto per il reato, verrà meno il simultaneus processus: il reato si prescriverà, non così l’illecito dell’ente.

La Direttiva inoltre parla di responsabilità delle “persone giuridiche”, che vengono contestualmente definite come "qualsiasi soggetto giuridico che possieda tale status in forza del diritto nazionale applicabile, ad eccezione degli Stati o delle istituzioni pubbliche che esercitano i pubblici poteri e delle organizzazioni internazionali pubbliche".

Il nuovo art 25-undecies consente invece la punizione di enti anche privi di personalità giuridica, in tal modo aprendo la strada ad un possibile eccesso di delega (A. M. Stile, relazione alla tavola rotonda sopra menzionata).

Tale profilo di illegittimità costituzionale potrebbe comprendere anche la possibilità di sanzionare l’ente per illeciti commessi con colpa che non sia qualificabile come "grave" (“grave negligenza” secondo l’art 3 della Direttiva).

Infatti le contravvenzioni richiamate dall’art 25-undecies possono essere punite anche a titolo di colpa, in ipotesi anche lievissima.

Sotto altro profilo è una novità assoluta la previsione di sanzioni interdittive per fattispecie contravvenzionali (art 25-undecies comma 7): come è noto non si è arrivati a tanto con l’art 25-ter (reati societari) che consente l’applicazione della sola sanzione pecuniaria per le fattispecie ivi previste (tra le quali le contravvenzioni ex artt 2621 comma 1 e 2627 c.c.).

Infine alcuni commentatori prefigurano un possibile rilievo “esplosivo” dell’art 8 d.lg. 231, che sancisce il principio di autonomia della responsabilità' dell'ente.

E’ stato acutamente affermato che la disposizione in questione contiene in sé un “germe molto potente”, ovvero “l’idea che si possa arrivare ad una situazione in cui, per diversi motivi, l’ente sia punito esclusivamente, senza che sia necessaria non solo la punizione, ma perfino la stessa individuazione dell’agent, autore materiale del delitto presupposto” (V. Plantamura, Diritto penale e tutela dell’ambiente, Bari, 2007, 97).

Ad avviso di chi scrive il decreto legislativo in esame rappresenta soltanto un primo tassello, molto timido, che avrebbe dovuto essere preceduto dalla riforma “seria e severa” del diritto penale ambientale “della persona fisica”.

 


(Maurizio Arena)

 

 

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