Casellario giudiziale e attività a contatto con minori: profili 231

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Di interesse anche ai fini della compliance 231 il disposto dell’art. 25-bis del Testo Unico sul Casellario Giudiziale (D.P.R. n. 313/2002), introdotto dal d.lg. 4 marzo 2014 n. 39.

Ebbene, secondo l’art 25-bis, il certificato penale del casellario giudiziale deve essere richiesto dal soggetto che intenda impiegare al lavoro una persona per lo svolgimento di attività professionali o attività volontarie organizzate che comportino contatti diretti e regolari con minori.
Tale acquisizione è finalizzata a conoscere l'esistenza di condanne per taluno dei reati di cui agli articoli 600-bis (prostituzione minorile), 600-ter (pornografia minorile), 600-quater (detenzione di materiale pornografico), 600-quinquies (iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile) e 609-undecies (adescamento di minorenni) del codice penale, ovvero l'irrogazione di sanzioni interdittive all'esercizio di attività che comportino contatti diretti e regolari con minori.
Il datore di lavoro che non adempie all'obbligo in esame è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra euro 10.000,00 e euro 15.000,00.
Si noti che tutti i delitti menzionati rientrano tra i reati-presupposto della responsabilità dell’ente, ai sensi dell’art 25-quinquies d.lg. 231 (delitti contro la personalità individuale).
L’art 25-quinquies prevede, per quel che interessa in questa sede:

1. per i delitti di cui agli articoli 600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600-quater.1 (pornografia virtuale), e 600-quinquies, la sanzione pecuniaria da trecento a ottocento quote;
2. per i delitti di cui agli articoli 600-bis, secondo comma, 600-ter, terzo e quarto comma, e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600-quater.1, nonchè per il delitto di cui all'articolo 609-undecies, la sanzione pecuniaria da duecento a settecento quote;
3. nei casi di condanna per uno dei delitti indicati al punto 1), le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore ad un anno;
4. se l'ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati indicati, l’applicazione della sanzione dell'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività ai sensi dell'articolo 16, comma 3.

Pertanto – ferma restando la natura obbligatoria dell’adempimento a carico del datore di lavoro – gli enti potenzialmente interessati da tali casistiche di reato dovranno prevedere regole organizzative, gestionali e di controllo finalizzate a garantire il rispetto di una prescrizione di legge che può rilevare anche ai sensi del d.lg. 231.