Bonifica e responsabilità degli enti per reati ambientali

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Interessante questione, in tema di responsabilità degli enti collettivi per reati ambientali, attiene all’incidenza della bonifica del sito inquinato sulla responsabilità in questione.

 

Bonifica e responsabilità degli enti per reati ambientali

Interessante questione, in tema di responsabilità degli enti collettivi per reati ambientali, attiene all’incidenza della bonifica del sito inquinato sulla responsabilità in questione[1].

Come è noto, qualora la bonifica sia conforme ai progetti approvati dalle Autorità indicate dall’art. 242 d.lg. 152/2006 (Codice Ambiente), essa esclude la responsabilità delle persone fisiche per una serie di reati ambientali.

Precisamente l’art 257 (bonifica dei siti) punisce, al comma 1, chi cagional'inquinamentodelsuolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delleconcentrazioni - sogliadirischio(arresto da sei mesi a un anno o ammenda da duemilaseicento euroaventiseimilaeuro[2]), secostui nonprovvedeallabonificain conformita' al progettoapprovatodall'Autorita' competente nell'ambitodel procedimento di cui agli artt. 242 e seguenti.

Inoltre l'osservanza dei progetti approvati ai sensi degli artt. 242 eseguenticostituiscecondizionedinon punibilita' per reati ambientali contemplati da altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di inquinamento di cui al comma 1.

Orbene, il d.lg. 121/2011 – che ha introdotto la responsabilità degli enti collettivi per una serie di reati ambientali (art 25-undecies d.lg. 231/2001) - non ha chiarito se l’eventuale bonifica possa escludere anche la responsabilità dell’ente.

Come è noto, la responsabilità amministrativa dell’ente è caratterizzata dal principio di autonomia (art 8), per cui la stessa sussiste anche quando il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia.

Il problema sul tappeto è proprio questo: la bonifica costituisce una causa sopravvenuta di non punibilità, che presuppone un reato già consumato, oppure una vera e propria condizione obiettiva di non punibilità che, in quanto tale, incide anche sulla consumazione del reato, eliminando l’antigiuridicità del fatto e facendo, dunque, venire meno l’illecito?[3]

Secono alcuni autori (Giampietro) si tratterebbe di una causa – sopravvenuta - di non punibilità; secondo altri di una condizione obiettiva di punibilità, formulata in forma negativa (Aliotta; Volpe).

E’ evidentemente importante distinguere tali istituti per le conseguenze che ne derivano: le cause di non punibilità presuppongono un reato già perfezionato, con la conseguenza che esse escludono l’assoggettamento a pena, ma non l’operatività di misure di sicurezza (ad esempio la confisca del sito inquinato).

La verificazione delle condizioni obiettive di punibilità incide invece sulla stessa consumazione del reato e inibisce l’operatività di ogni conseguenza penale (Micheletti).

Appare preferibile inquadrare il disposto di cui all’art 257 nell’ambito dell’art 44 c.p., quale condizione obiettiva di punibilità (in giuriprudenza: Cass., 9 luglio 2007; 9 marzo 2007).

Insomma il reato di inquinamento ambientale non si perfeziona fintanto che non si verifica l’omessa bonifica; quindi il soggetto agente è spinto ad adempiere al fine di non incorrere in alcuna coseguenza penale (Micheletti).

Ove si optasse per la tesi opposta diminuirebbe la funzione premiale connessa alla bonifica: in ogni caso il soggetto agente potrebbe sottrarsi alla pena principale ma non alla confisca del sito (Beltrame).

Inoltre la condizione obiettiva di punibilità giova a tutti i concorrenti nel reato, a differenza della causa di esclusione della pena, che è riferibile al solo autore del fatto.

In quest’ultimo caso i concorrenti estranei alla riparazione resterebbero penalmente responsabili e ciò pare irragionevole, dovendo anche questi ultimi collaborare alla riuparazione per poter andare esenti da pena.

Solo aderendo alla tesi indicata, peraltro, anche l’ente collettivo andrebbe esente da responsabilità, con l’impossibilità di applicare la confisca.

(Maurizio Arena)

 

[1] Cfr., anche sulla specifica questione, G. Casartelli, La responsabilita’ degli enti per i reati ambientali, www.penalecontemporaneo.it, 23 marzo 2012.

[2] Si applica la pena dell'arresto da un anno a due anni e la pena dell'ammendadacinquemiladuecentoeuro a cinquantaduemila euro se l'inquinamento e' provocato da sostanze pericolose. Inoltre ilbeneficiodellasospensione condizionale della pena puo' essere subordinato alla esecuzione degli interventi di emergenza, bonifica e ripristino ambientale.

[3] Una questione analoga, ma risolta espressamente dal Legislatore, attiene ad alcuni meccanismi riparatori previsti nell’ambito dei c.d. reati societari (artt 2627; 2628; 2629; 2633),: in queste ipotesi la legge parla espressamente di “estinzione del reato”. Pertanto opererebbe in pieno l’art 8 d.lg. 231, che neutralizzerebbe l’estensione alla responsabilità dell’ente dell’effetto estintivo.