G.U.P. Trib. Milano (D’Arcangelo), 3 gennaio 2011 (ud. 3 novembre 2010)

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Importanti considerazioni sul sistema dei modelli organizzativi, sulla legittimità costituzionale dell'art 6 e sulla nozione di elusione fraudolenta

 

 

Tribunale di Milano, Giudice dell’udienza preliminare, dott. D’Arcangelo, 3 gennaio 2011 (ud. 3 novembre 2010)

Banca condannata in relazione ai seguenti delitti:

a) art 2638 commi 1, 2 e 3 c.c.

b) art 2622 comma 3 c.c.

c) art. 185 D.L.vo 58 del 1998

Sanzione pecuniaria di €.1.858.800,00.

Confisca della somma di euro 64.200.000,00


Sulle eccezioni di indeterminatezza del capo di imputazione

Secondo la difesa istante la imputazione enucleata dalla Pubblica Accusa, infatti, si risolverebbe in "nulla più che un richiamo alle norme di legge assunte violate" senza indicare la condotta illecita ascritta all'ente.

"Il capo di imputazione omette invero di fornire qualunque indicazione di condotta in merito alla colpa concretamente attribuibile all'ente" ed, in particolare, "nessun cenno è fatto al modello di gestione ed organizzazione adottato dalla Banca, nessun all'idoneità (o meno) dello stesso a prevenire delitti del tipo di quelli (che si ritiene essere stati) posti in essere…"; parimenti risulterebbe assolutamente assente la indicazione di "quale mai avrebbe dovuto (e potuto) essere il comportamento alternativo lecito esigibile e sulla scorta di quale regola cautelare che dovrebbe essere precisamente identificata e contestata".

L'eccezione è inammissibile prima ancora che integralmente infondata.

La giurisprudenza di legittimità ha reiteratamente statuito che l'imputato del giudizio abbreviato incondizionato non può eccepire il vizio di genericità e indeterminatezza dell'imputazione, perché la richiesta incondizionata di giudizio abbreviato implica necessariamente l'accettazione dell'imputazione formulata dall'accusa (ex plurimis: Cass. 20.5.2009, n.32363, F., Rv. 245191; Cass. 20.2.2009, n.23771, Bilardi ed altri, Rv.245252).

La configurazione della richiesta incondizionata di giudizio abbreviato come un "diritto potestativo" dell'imputato ha come conseguenza che la scelta di essere giudicato allo stato degli atti, cioè in base a tutti gli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, comporta altresì l'accettazione necessaria della stessa imputazione formulata dall'accusa. In sostanza, la richiesta di cui all'art. 438 c.p.p. non può che riguardare anche l'imputazione contenuta nell'atto attraverso il quale il pubblico ministero ha esercitato l'azione penale. Ciò è confermato anche dalla disciplina sulle nuove contestazioni nel giudizio abbreviato, secondo cui dinanzi alle modifiche dell'imputazione ex art. 423 comma 1 c.p.p. l'imputato può chiedere che il procedimento prosegua nelle forme ordinarie, rinunciando così al rito speciale: questa regola evidenzia come l'opzione unilaterale di essere giudicato con un rito a prova contratta comprenda anche l'accettazione della stessa imputazione dalla quale l'imputato dovrà difendersi nel giudizio speciale, tanto è vero che la sua modificazione, anche relativa all'ipotesi in cui il fatto contestato risulti diverso da come descritto nell'imputazione, giustifica il ripensamento sulla iniziale richiesta e la conseguente revoca del provvedimento con cui il giudice aveva disposto il giudizio abbreviato. In questo modo, attraverso la disposizione contenuta nell'art. 441-bis c.p.p. si è riconosciuto a favore dell'imputato una sorta di affidamento sulla stabilità dell'accusa, garantendolo dai rischi di modifiche della contestazione originaria, in relazione alla quale ha deciso di richiedere il rito speciale.

Pertanto, una volta che sia stato introdotto il giudizio abbreviato sull'istanza dell'imputato, senza che vi sia stata alcuna modificazione dell'accusa da parte del pubblico ministero e senza che il giudice abbia rilevato vizi nella formulazione dell'imputazione, non residua all'imputato spazio per contestare l'imputazione stessa. D'altra parte, se ritiene l'accusa indeterminata e generica l'imputato non sceglierà il giudizio abbreviato, potendo in seguito eccepire la nullità dell'eventuale decreto di citazione a giudizio ai sensi dell'art. 429, comma secondo, c.p.p.

L'imputato, del resto, può già nell'udienza preliminare, prima di esternare la sue determinazioni in ordine all'accesso ai riti speciali, contestare l'imputazione che reputa carente nell'enunciazione del fatto e chiedere al giudice che solleciti il Pubblico Ministero a correggere ed integrare l'accusa (Cass., SS.UU., 20.12.2007, n.5307, P.M. in proc. Battistella, Rv.238239).

Peraltro la carenza o genericità dell'enunciazione del fatto, che l'art. 429, comma 1, lett. c) e comma 2, sanziona con la nullità, non integra una nullità di ordine generale, ma rientra nella categoria delle "nullità relative" previste dall'art. 181 c.p.p. (Cass., 21.9.1996, n. 9969, Pieroni, Rv. 206623; Cass., 25.3.2010, n. 20739, Di Bella, Rv. 207590) e la richiesta del rito speciale opera un effetto sanante della nullità ai sensi dell'art. 183 c.p.p. (ex plurimis: Cass., SS.UU., 26.9.2006, n.39298, Cieslinsky e altri, Rv. 234835), in quanto nel giudizio abbreviato può essere eccepito il solo vizio di nullità assoluta (Cass., 6.11.2000, n. 663, Palena, Rv. 217832).

Nessuna menomazione o pregiudizio del diritto di difesa di (X) S.p.A. è, peraltro, ravvisabile nel caso di specie, atteso che l'ente imputato ha potuto apprendere adeguatamente le contestazioni elevate dall'esame degli atti ed ha potuto compiutamente difendersi.

La difesa ha infatti svolto argomentate censure in ordine alla insussistenza dell'interesse o del vantaggio della Banca nelle condotte criminose ascritte al (A) ed al (B), ha contestato in radice la sussistenza della colpa di organizzazione della Banca stessa, ha ampiamente argomentato (anche mediante il deposito di una memoria redatta dal Prof. Paolo Gualtieri e depositata in 19.7.2010) la adeguatezza delle scelte organizzative dell'ente al fine di scongiurare la commissione dei delitti contestati (sostenendo la inesigibilità di una diversa condotta organizzativa) ed ha, da ultimo, eccepito la illegittimità costituzionale dell'art. 6 D.Lgs. 231/01 per contrasto con gli artt. 24, comma primo, 25, comma secondo, e 27, commi primo e secondo, della Costituzione. In data 4.10.2010 la difesa ha, inoltre, depositato una ulteriore memoria intesa a contestare la fondatezza della richiesta di confisca formulata dalla pubblica accusa alla udienza del 21.6.2010.
La difesa, pertanto, ha contestato nel merito la sussistenza di tutti gli elementi di fattispecie, senza dimostrare di aver subito alcuna deminutio delle proprie facoltà di intervento e di interlocuzione.

Le censure mosse dalla difesa si rivelano, peraltro, giuridicamente infondate.

La regola di responsabilità da reato degli enti è strutturata in modo tale che il tema della colpa di organizzazione, declinato secondo il paradigma dei modelli di gestione ed organizzazione, per gli illeciti commessi da soggetti in posizione apicale costituisca solo una causa di esonero da responsabilità (e, pertanto, un fatto estintivo) e non già un elemento della fattispecie ascrittiva della responsabilità (un fatto costitutivo).

Il D.Lgs. 231/01 all'art. 5 delinea, sotto il profilo dei criteri soggettivi di ascrizione della responsabilità, un sistema a due livelli; quello dei soggetti in posizione apicale (lett. a) e quello dei soggetti "sottoposti alla direzione o alla vigilanza" di uno dei soggetti apicali (lett. b).
Qualora il delitto presupposto sia commesso da soggetti in posizione apicale, nel disegno del legislatore, la sussistenza dell'interesse (considerato dal punto di vista soggettivo) o del vantaggio (considerato dal punto di vista oggettivo) è sufficiente all'integrazione della responsabilità fino a quando sussiste l'immedesimazione organica tra dirigente apicale ed ente. Quest'ultimo non risponde allorquando il fatto è commesso dal singolo "nell'interesse esclusivo proprio o di terzi" (art. 5.2), non riconducibile neppure parzialmente all'interesse dell'ente, ossia nel caso in cui non sia più possibile configurare la suddetta immedesimazione.

Ad eccezione dell'ipotesi ora menzionata (art. 5.2) per non rispondere per quanto ha commesso il suo rappresentante l'ente deve provare di avere adottato le misure necessarie ad impedire la commissione di reati del tipo di quello realizzato.

Originano da questi assunti le inversioni dell'onere della prova e le previsioni probatorie di cui all'art. 6 D.Lgs. 231/01 e, specificamente, la necessità che l'ente fornisca innanzitutto "la prova che l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a tal fine" (D.Lgs. cit., art. 6, lett. a).

In giurisprudenza è, peraltro, incontroverso che nella ipotesi di reato commesso da soggetto in posizione apicale è l'ente che deve fornire la prova della sua assenza di coinvolgimento e, pertanto, la prova della adeguata organizzazione e vigilanza si atteggia a vera e propria causa di esonero rispetto ad una fattispecie di responsabilità già di per sé integrata (ex plurimis: Cass. 20.12.2005, n. 3615, Jolly Mediterraneo s.r.l., rv.232957; Cass. 9.7.2009, n.36083, Mussoni ed altri, Rv.244256).
Parimenti in dottrina si è evidenziato come la peculiare strutturazione della fattispecie, fondata sull'inversione dell'onere della prova, comporta la inapplicabilità della regola di giudizio di cui all'art. 530, comma secondo, c.p.p. in relazione ai modelli organizzativi.

L'assoluzione, pertanto, si impone solo in caso di dubbio sulla commissione del reato da parte dei vertici nell'interesse o a vantaggio dell'ente, ma non in caso di dubbio sulla idoneità o efficace implementazione dei modelli organizzativi.

Ne consegue, a differenza da quanto opinato dalla difesa, che la estraneità dei modelli organizzativi alla fattispecie ascrittiva di responsabilità dell'ente nel caso di reato presupposto commesso da apicali rende ultroneo (o, comunque, certamente non doveroso) il riferimento nel capo di imputazione "alla colpa concretamente attribuibile all'ente", al "modello di gestione ed organizzazione adottato dalla Banca", "all'idoneità (o meno) dello stesso a prevenire delitti del tipo di quelli (che si ritiene essere stati) posti in essere…", né tanto meno al "comportamento alternativo lecito esigibile e sulla scorta di quale regola cautelare che dovrebbe essere precisamente identificata e contestata".

Il capo di imputazione delineato dalla Pubblica Accusa enuncia, ancorché in forma brachiologica, tutti gli elementi necessari perché in relazione a tale contestazione possa svolgersi pienamente la difesa. La censura di indeterminatezza del capo di imputazione deve essere, pertanto, disattesa.

La questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 d.lg. 231

La difesa di (X) S.p.A. ha dedotto la illegittimità costituzionale dell'art. 6 D.Lgs. 231/01 per difetto di determinatezza e, pertanto, per contrasto con le disposizioni di cui agli artt. 24, comma primo, 25, comma secondo, e 27, commi primo e secondo, della Costituzione, invitando il giudice a sospendere il processo ed a rimettere gli atti alla Corte Costituzionale.
Secondo la difesa istante, infatti, "il D.Lgs. 231/01 si limita a postulare l'adozione e l'efficace attuazione di modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi", senza tuttavia offrire indicazione alcuna in ordine al contenuto o al grado di specificità che siffatti modelli devono soddisfare".

L'assenza nella esperienza giuridica italiana e nella prassi societaria di tali regole cautelari di condotta non consentirebbe all'ente che intenda conformarsi alle prescrizioni del D.Lgs. 231/01 di rinvenire adeguati parametri normativi o giurisprudenziali per orientare le proprie scelte organizzative. Parimenti il giudice, tradizionalmente estraneo per formazione e per esperienza alla organizzazione di impresa ed alla governance aziendale, sarebbe privo di sicuri elementi di valutazione per riconoscere l'adeguatezza del modello dopo la realizzazione del reato e, pertanto, sarebbe inevitabilmente influenzato dalla distorsione cognitiva del "post hoc, ergo propter hoc".
La dedotta questione di legittimità costituzionale deve essere disattesa in quanto irrilevante nel caso di specie e, comunque, manifestamente infondata.

A tacere del rilievo che la questione dedotta si risolve più in una contestazione della filosofia sanzionatoria del D.Lgs. 231/01 che nel rilievo del contrasto della disposizione denunciata con la trama costituzionale, la censura proposta è irrilevante nel presente giudizio.

La difesa di (X), infatti, non ha prodotto in giudizio i modelli organizzativi e si è limitata a contestare il deficit di tassatività della regola di responsabilità da reato degli enti che non consentirebbe all'ente di delineare con adeguata sicurezza una idonea compliance aziendale.
L'adozione di un idoneo modello organizzativo e la sua efficace attuazione (qualora il delitto presupposto sia stato commesso da un soggetto in posizione apicale) costituiscono, tuttavia, non già elementi costitutivi della regola di responsabilità da reato degli enti, ma assumono esclusivamente valenza esimente (quali frammenti della più ampia prova liberatoria delineata dall'art. 6 D.Lgs. 231/01). Pertanto, l'ente che abbia omesso di adottare ed attuare il modello organizzativo e gestionale (o che non provi tali circostanze) non risponde per il reato commesso dal suo esponente in posizione apicale soltanto nell'ipotesi di cui all'art. 5, comma secondo, D.Lgs. 231/01 (Cass. 9.7.2009, n.36083, Mussoni ed altri, Rv.244256) ovvero se l'autore del reato ha agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi.

La censura di incostituzionalità formulata della difesa è, pertanto, irrilevante, in quanto la adozione e la effettiva implementazione dei modelli organizzativi non attiene al perfezionamento della fattispecie ascrittiva della responsabilità da reato dell'ente (integrata esclusivamente dalla commissione di un delitto presupposto nell'interesse o a vantaggio dell'ente da un soggetto in posizione apicale).

La banca, per converso, non ha addotto in giudizio elementi impeditivi o estintivi della fattispecie di responsabilità dell'ente, né ha censurato la mancata previsione nel disegno legislativo della impossibilità, nel caso di delitti presupposto commessi dagli apicali, della prova della insussistenza della c.d colpa di organizzazione al di là della prova liberatoria delineata dall'art. 6 D.Lgs. 231/01.

La questione è, peraltro, anche manifestamente infondata.

La disciplina del D.Lgs. 231/01 mediante un "co-regolamentazione statale e privata" dei rischi derivanti dalla commissione di reati nell'attività degli enti.

Il legislatore, in altri termini, delinea un sistema di corporate compliance incentrato sul dovere di autocontrollo dell'ente e su un sistema di incentivi ad adempiere. La previsione innovativa di una "colpa di organizzazione" si ricollega, peraltro, ad una linea evolutiva dell'ordinamento, ove gli enti vengono progressivamente obbligati ad internalizzare le proprie inefficienze organizzative.
La previsione dei modelli organizzativi si inserisce in realtà in un quadro sistematico coerente, già presente nel 2001 e successivamente precisatosi in modo ancor più nitido per effetto della recente riforma del diritto societario.

Sul versante del diritto delle società, infatti, si ricostruisce, argomentando dalle prescrizioni in tema di adeguatezza organizzativa delle società, un esplicito dovere di adozione di misure idonee a prevenire il compimento di reati presupposto ed a scongiurare la insorgenza della responsabilità da reato dell'ente.

I modelli organizzativi, pertanto, vengono ascritti sistematicamente a quelle norme del diritto societario (ed in particolare al terzo ed al quinto comma dell'art. 2381 c.c. ed all'art. 2403 c.c.) che sanciscono il principio di adeguatezza nel governo societario. L'art. 2381, comma quinto, c.c. attribuisce agli organi delegati il compito di curare che l'assetto organizzativo amministrativo e contabile sia adeguato alla natura ed alle dimensioni dell'impresa ed al consiglio di amministrazione il compito di valutarne l'adeguatezza sulla base delle informazioni ricevute.

L'art. 2403, comma primo, c.c. stabilisce che il collegio sindacale vigila sull'osservanza delle legge e dello statuto nonché sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, con particolare riguardo alla adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento.

Una sentenza del Tribunale di Milano ha, del resto, evidenziato tali collegamenti sistematici, affermando una responsabilità civile degli amministratori "da inadeguatezza organizzativa" in caso di mancata adozione dei modelli ex D.Lgs. 231/01 (Trib. Milano, Sez. VIII civ., 13.2.2008, n. 1774).
L'agire in conformità a legge è, pertanto, sottratto alla discrezionalità dell'imprenditore ed il rischio di non conformità non può rientrare tra i rischi accettabili da parte degli amministratori.
Stringenti doveri di predisposizione di assetti organizzativi e procedurali sono, inoltre, stabiliti per le società che esercitano attività bancaria da una pluralità di fonti primarie e sub primarie.
Le Istruzioni di Vigilanza per le Banche emanate dalla Banca d'Italia contenevano un apposito capitolo dedicato al Sistema dei controlli interni, compiti del collegio sindacale, nel quale è nitidamente scolpita la centralità del sistema di controllo interno ed il rispetto della legge è considerato come una delle condizioni essenziali per la "competitività della banca, la sua stabilità di medio e lungo periodo, la possibilità stessa che sia garantita una gestione sana e prudente" (Titolo IV, Capitolo 11, p.1).

Le nuove disposizioni del Testo Unico della Finanza, inoltre, prevedono l'emanazione di un regolamento di Banca d'Italia e di Consob volto a disciplinare congiuntamente, tra l'altro, i requisiti generali di organizzazione, l'organizzazione amministrativa e contabile, compresa l'istituzione della funzione di controllo della conformità alle norme, la gestione del rischio dell'impresa e l'audit interno.
Sul piano autoregolamentare, inoltre, l'assetto dei controlli e la sua efficiente predisposizione costituiscono uno degli aspetti principali sui quali interviene il Codice di autodisciplina delle società quotate, che prevede, tra l'altro, l'adozione di un sistema di controllo interno inteso come "l'insieme delle regole, delle procedure e delle strutture organizzative volte a consentire, attraverso un adeguato processo di identificazione, misurazione, gestione e monitoraggio dei principali rischi, una conduzione dell'impresa sana, corretta e coerente con gli obiettivi prefissati".
Il complesso di tale disciplina rende evidente la cornice sistematica in cui deve essere collocato il dovere per le società di auto-organizzazione ed anche l'onere di adottare modelli organizzativi ex D.Lgs. 231/01.

Parimenti nel disegno del legislatore la imposizione di precisi obblighi di autoorganizzazione fa assurgere a parametro normativo il principio, noto alle scienze aziendalistiche, per il quale soltanto un sistema integrato di operazioni coordinate consente di assicurare un risultato qualitativamente apprezzabile, in quanto al ridursi della discrezionalità nelle diverse fasi del processo, si riducono parimenti le possibilità di errore. Questo modello, applicato alla organizzazione aziendale nel suo complesso, presuppone che ogni fase dell'attività sia consacrata in un procedimento e che questo procedimento sia oggetto di una preventiva valutazione diretta ad accertarne l'adeguatezza e di continui controlli alla sua concreta applicazione. Significativamente nello stesso lessico del codice civile l'art. 2391-bis c.p.p. utilizza il sintagma "procedura", tradizionalmente estraneo a tale ambito normativo.
Il contenuto del dovere di auto-organizzazione dell'ente (e dell'onere di adottare modelli organizzativi ex D.Lgs. 231/01) è, inoltre, precisato da un ampio compendio di fonti normative primarie e sub primarie, da codici di autodisciplina e da guidelines emesse dalle associazioni di categoria che indicano il contenuto delle misure di prevenzione.

La colpa di organizzazione rilevante ai sensi del diritto punitivo degli enti è, del resto, colpa specifica (nei limiti in cui la assimilazione tra colpa della persona fisica e colpa di organizzazione sia predicabile) ovvero colpa dovuta alla violazione di discipline positive.

A titolo meramente esemplificativo possono, peraltro, rammentarsi alcune disposizioni che riguardano specificamente le contestazioni mosse a (X) e che costituiscono parametri normativi certi e giuridicamente vincolanti per l'adozione di efficaci modelli organizzativi con riferimento agli specifici delitti presupposti per cui si procede in tale sede.

Il testo vigente dell'art. 2428 c.c. impone, ad esempio, agli amministratori di indicare nella relazione al bilancio di esercizio anche"i principali rischi e incertezze cui la società è esposta" precisando altresì "in relazione all'uso da parte della società di strumenti finanziari e se rilevanti per la valutazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico dell'esercizio:
a) gli obiettivi e le politiche della società in materia di gestione del rischio finanziario, compresa la politica di copertura per ciascuna principale categoria di operazioni previste;
b) l'esposizione della società al rischio di prezzo, al rischio di credito, al rischio di liquidità e al rischio di variazione dei flussi finanziari".

Le Linee guida dell'Associazione Bancaria Italiana per l'adozione di modelli organizzativi sulla responsabilità amministrativa delle banche, edite nel febbraio 2004, con riferimento ai reati societari espressamente prevedono che "la banca, per essere destinataria di una disciplina speciale ad hoc, si pone comunque in una posizione privilegiata rispetto alle altre società.

La normativa speciale, infatti, impone la procedimentalizzazione dell'intera fase di formazione di tali documenti, rendendo il processo documentato e vigilato. Il bilancio non solo rappresenta il documento necessario a fornire le informazioni ai terzi in merito alla situazione patrimoniale e finanziaria ed al risultato della gestione svolta, ma costituisce altresì l'aggregato principale per la regolamentazione di vigilanza prudenziale. In altri termini, il bilancio di una banca costituisce allo stesso tempo "strumento di trasparenza informativa" e "strumento di vigilanza bancaria".
Tale specifica funzione fa sì, appunto, che il bilancio delle banche sia soggetto a norme ulteriori, sia comunitarie che nazionali, che prevedono regole di contabilizzazione e criteri di valutazione del tutto particolari rispetto a quelli degli altri tipi di società. La peculiarità della disciplina del bilancio delle società bancaria si concretizza, infine, nelle attribuzioni conferite dalla legge al CICR ed alla Banca d'Italia - le cui Istruzioni in materia sono concepite come una sorta di "Testo Unico" per la compilazione dei bilanci delle banche - che provvedono ad assegnare una disciplina tecnica degli schemi e dei contenuti del bilancio. Ciò comporta che la banca possa limitarsi ad esplicitare, nel contesto di un documento a tal fine predisposto (modello organizzativo, codice etico, codice deontologico), i principi cui tutti i soggetti che operano per suo conto devono ispirarsi nell'esercizio delle proprie funzioni, di fatto ribadendo criteri già enucleabili dalle diverse prescrizioni normative".
E' parimenti obbligatoria, per tutti gli intermediari finanziari, l'adozione di modelli organizzativi e di un organismo di vigilanza che permetta di individuare, prevenire e gestire il rischio di commissione di fatti manipolativi del mercato; gli artt. 180 e ssg. T.u.f. impongono, tra l'altro, agli intermediari di "segnalare senza indugio alla Consob le operazioni che, in base a ragionevoli motivi, possono ritenersi configurare una violazione delle disposizioni" di cui al Titolo I-bis della Parte V del Testo Unico (così l'art. 187-nonies, comma primo, T.u.f. integrato dagli artt. 44 e ss. del Regolamento Mercati Consob).

La disciplina secondaria delinea, inoltre, una cornice di interventi sempre più incisivi sui doveri degli intermediati abilitati all'esercizio dei servizi di investimento, in ordine alla prevenzione e gestione del rischio di inosservanza di leggi e regolamenti, codificati da organismi internazionali (documenti del Comitato di Basilea e dalla IOSCO), dalla disciplina comunitaria (Direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE per le banche e Direttive MIFID per i servizi di investimento) ed integrati da prescrizioni del legislatore nazionale adottate in attuazione di queste ultime (D.L. n.297/2006 e D.Lgs. n.164/2007).

Lo stesso consulente della difesa Prof. … significativamente evidenzia nella memoria del 19.7.2010 "che l'ABI nel dettare linee guida…per la predisposizione dei modelli organizzativi ha affermato che è difficile individuare per le banche condotte tipiche che preludano o facilitino la commissione dei reati societari, poiché si tratta in molti casi di reati che costituiscono la violazione di regole procedimentali già tassativamente indicate dalle norme. Ciò rende ardua la proposizione di modalità di gestione del rischio che non risultino ripetitive di comportamenti già consolidati nella prassi bancaria ovvero derivanti dall'applicazione delle norme primarie e dalla regolamentazione di vigilanza vigenti".

In tale contesto normativo si rivela, pertanto, fallace l'asserto secondo il quale il contenuto dei modelli organizzativi sarebbe indeterminato, in quanto il legislatore agli artt. 6 e 7 del D.Lgs. 231/01 delinea un contenuto tipico degli stessi e ciascun ente può mutuare le prescrizioni organizzative di dettaglio dall'insieme della disciplina primaria e sub-primaria di settore, dagli atti di autoregolamentazione vigenti e dalle linee guida emanate dalle associazioni di settore.
Parimenti il giudice chiamato a delibare la idoneità di un modello organizzativo deve far riferimento alla disciplina di un determinato settore con riferimento al tempo della condotta criminosa in contestazione e verificare quali cautele organizzative siano state adottate dall'ente per scongiurare un dato fatto criminoso e come le stesse in concreto siano state attuate con riferimento al miglior sapere tecnico disponibile all'epoca.

Il rischio paventato dalla difesa di (X) che il giudice retrospettivamente costruisca una regola cautelare non riconoscibile al momento del fatto come sussistente si rivela, pertanto, insussistente ove il sindacato giudiziale richiesto dal D.Lgs. 231/01 sui modelli di organizzazione e di prevenzione del rischio reato sia correttamente inteso.

Il modello cautelare idoneo è, infatti, (come si desume, sul piano metodologico, anche dal contenuto precettivo dell'art. 30 del D.Lgs. 9.4.2008 n. 81) quello forgiato dalle migliori conoscenze, consolidate e condivise nel momento storico in cui è commesso l'illecito, in ordine ai metodi di neutralizzazione o di minimizzazione del rischio tipico.

In tale prospettiva ermeneutica in cui acquista un rilievo estremamente significativo il canone della esigibilità della legalità organizzativa, il giudice è non già un produttore, bensì esclusivamente un consumatore di norme di organizzazione e, pertanto, la censura di incostituzionalità formulata dalla difesa di (X) deve essere disattesa.


Sull’elusione fraudolenta

La difesa di (X) S.p.A. non ha prodotto in giudizio i modelli di organizzazione e gestione dell'ente, limitandosi, come ribadito nella memoria depositata in data 22.7.2010, a mettere "a disposizione dell'Ill.mo Signor Giudice copia del Modello Organizzativo ex d.lgs. 231/2001 di (X) in data 13 dicembre 2006, unitamente a copia del Codice Etico della medesima Banca in data 22 ottobre 2004 e dei regolamenti e delle procedure aziendali anche vigenti all'epoca dei fatti. E ciò lì e ove la S.V. Ill.ma ritenesse di doverli acquisire ai fini della propria decisione, ai sensi della disposizione di cui all'art. 441, comma 5, c.p.p.".

La prova della esimente di cui all'art. 6 D.Lgs. 231/01 non è, pertanto, stata raggiunta, atteso che sulla difesa incombe l'onere della prova non solo della idoneità del modello adottato, ma anche della sua efficace attuazione (Cass. 20.12.2005, n. 3615, Jolly Mediterraneo s.r.l., rv.232957; Cass. 9.7.2009, n.36083, Mussoni ed altri, Rv.244256) e tale onere (ritenuto non manifestamente illegittimo da C. Cass. 18.2.2010, n.27735, Scarafia ed altro, Rv.247666) non può ritenersi assolto mediante la mera allegazione della disponibilità alla produzione in giudizio dei modelli organizzativi.
La difesa ha, peraltro, prodotto alla udienza del 21.7.2010, un parere "Le condotte esigibili ex D.Lgs. 231/2001 in relazione al reato di false comunicazioni sociali" sottoscritto dal Prof. …, che è, tuttavia, inammissibile e non può essere utilizzato in tale sede.
Tale parere, che si risolve in una consulenza tecnica in ordine alla adeguatezza della compliance aziendale di (X) ed alla inesigibilità di una diversa condotta organizzativa, è stato infatti prodotto dalla difesa nell'ambito della discussione e, pertanto, è stato acquisito successivamente alla ammissione del rito abbreviato (ed in violazione delle regole acquisitive della prova operanti in tale procedimento).
L'asserto difensivo secondo il quale l'esistenza di comportamenti fraudolenti da parte dei dirigenti apicali della banca avrebbe impedito al sistema di controllo interno di intercettare i tipici segnali di rischio della commissione degli illeciti (e, pertanto, sarebbe stata inesigibile in concreto una diversa condotta organizzativa dell'ente) è, inoltre, radicalmente infondato.

Il compendio probatorio agli atti, del resto, dimostra con assoluto nitore come l'assetto organizzativo di (X) S.p.A. all'epoca dei fatti per cui si procede fosse gravemente lacunoso, connotato da ampie e diffuse disfunzioni e, pertanto, radicalmente inidoneo a prevenire la commissione di reati della specie di quelli verificatisi.

Le estese carenze dei sistemi di controllo interno e le evidenti disfunzioni del loro funzionamento non hanno, infatti, consentito di evidenziare alcuno degli evidenti elementi sintomatici del rischio di reato e, pertanto, non consentono di affermare fondatamente la estraneità di (X) rispetto agli illeciti posti in essere dai propri dirigenti apicali.

In relazione ai fatti accertati nell'ambito dell'attività di vigilanza ispettiva condotta ai sensi dell'art. 54 D.Lgs. 385/193 presso (X) S.p.A., la Banca D'Italia ha avviato una procedura sanzionatoria che ha determinato in data 14.5.2008 la irrogazione da parte del Direttorio in seduta collegiale di sanzioni amministrative nei confronti numerosi amministratori, dipendenti della banca e del soggetto incaricato della revisione contabile.

Il compendio probatorio acquisito nel corso del giudizio dimostra, pertanto, in modo inequivoco come l'assetto organizzativo di (X) S.p.A. risultasse, in rapporto alle strategie perseguite e al tipo di operatività svolta, ampiamente lacunoso ed evidenziasse una palese inadeguatezza dei presidi a fronte dei rischi operativi assunti.

Non può, pertanto, essere accolta la deduzione difensiva secondo la quale gli illeciti accertati non sarebbero addebitabili all'ente, in quanto l'Amministratore Delegato ed i suoi sodali avrebbero aggirato in modo illegittimo la normativa ed i sistemi di controllo.

In un contesto caratterizzato da evidenti disfunzioni organizzative e da grave inefficacia del sistema dei controlli interni (pur a fronte della presenza di plurimi ed evidenti segnali di anomalia), (A) e (B) hanno potuto operare senza sottostare ad alcun tipo di vaglio o riscontro.
Come rileva icasticamente la Banca d'Italia "gli accertamenti ispettivi hanno messo in luce una realtà aziendale in cui le carenze organizzative e le disfunzioni dei controlli non solo non sono state rilevate e corrette, ma hanno fornito l'occasione al management per porre in atto comportamenti opportunistici orientati al profitto più che all'obiettivo della sana e prudente gestione" (aff.110023).
In altri termini non sono stati l'Amministratore Delegato ed il Direttore Generale ad eludere fraudolentemente il sistema dei controlli interni, bensì gli imputati hanno approfittato a fini illeciti di una situazione dei presidi interni a (X) S.p.A. connotata da diffusi elementi di opacità, dalla assoluta inadeguatezza dei controlli e dalla mancanza di una basilare dialettica interna (aff. 010481).
Non ricorre, pertanto, la figura della elusione fraudolenta del modello organizzativo, in quanto la stessa presuppone l'avvenuta adozione e l'efficace attuazione di un modello organizzativo e la costituzione di un organismo di vigilanza (circostanza non comprovata nel caso di specie).
In altri termini non vi è prova di un disegno ingannatorio volto ad ostacolare i meccanismi di prevenzione, quanto di vaste aree di ineffettività dei già lacunosi controlli previsti.
La elusione fraudolenta del modello organizzativo costituisce, del resto, solo un frammento della più ampia esimente tipizzata dall'art. 6, comma primo, D.Lgs. 231/01 che consente all'ente di dissociarsi dai propri apicali e che postula la prova che l'organo dirigente abbia adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione idoneo a prevenire i reati della specie di quello verificatosi, che sia stato affidato ad un organismo, dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza del modello e che non vi sia stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo.


(Maurizio Arena)