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Fondi sovrani e incognita riciclaggio



Un articolo del Prof. Ranieri Razzante sull'applicazione della normativa antiriciclaggio ai fondi sovrani.



PER I FONDI SOVRANI L’INCOGNITA DEL RICICLAGGIO

 

Fondi sovrani a sovranità limitata?

Il dibattito sull’interventismo di questi nuovi giganti del mercato finanziario, forse troppo sopito fino ad oggi (nei termini che vedremo), si è rinfocolato con il caldo agostano, anche in virtù di alcune operazioni che hanno visto protagonisti essenziali questi investitori.

Questo stesso giornale ha dato puntualmente conto dei movimenti effettuati da alcuni attori di questo mercato.

Da ultimo, e forse il più clamoroso, quello del Fondo Temasek di Singapore (si veda il Sole del 28 agosto), il quale è stato autorizzato dall’antitrust americano a salire al 14% nella sua partecipazione in uno dei santuari del sistema bancario USA, Merryl Linch, protagonista in negativo nella crisi dei subprime.  

Ma anche General Motors sarebbe oggetto di interesse da parte dei fondi mediorientali, tra i più ricchi del mondo, nella sua fase di eventuale dismissione della divisione dedita alle autovetture di lusso, grande passione degli arabi (che hanno già interessenze nella nostra Ferrari e in Aston Martin).

Va forse ricordato che i fondi sovrani si caratterizzano, in estrema sintesi, per essere investitori di ricchezze che provengono da bilanci statali, non da soggetti privati, e che non hanno quindi la limitazione principale di questi ultimi: il vincolo di bilancio. Un fondo privato infatti investe fino a quando ha soldi, quello sovrano fino a quando il governo che lo ha promosso ce ne mette!

Ci si è chiesti allora (da ultimo, Paolo Savona in un illuminante fondo sul Messaggero di qualche giorno fa) se tale (e altri, come diremo) “vantaggio competitivo” sia degno di essere attenzionato e, non essendovi (ci pare) dubbi su tale evenienza, come lo si debba fare nell’interesse dei mercati, sia di provenienza che, soprattutto, di destinazione.

Ci si permetterà di essere, per ovvi motivi di spazio, superficiali nell’analisi economica, che tra l’altro nulla potrebbe aggiungere alle considerazioni analitiche, ad oggi sicuramente le più complete, ricavabili da uno studio del nostro Servizio di intelligence civile, l’AISI, nella sua Rivista (Gnosis, n. 1 del 2008, Fondi sovrani e sovranità nazionale, liberamente consultabile su www.sisde.it). Lo stesso Savona, più autorevolmente di chi scrive, vi fa essenziale riferimento.

I fatti incombono, ed ora i giuristi e, vieppiù, il legislatore dovranno dedicarsi all’elaborazione di una regolamentazione di questo fenomeno. Gli Stati Uniti, la Russia, la Cina e, con più clamore (v. il Sole del …. Agosto), la Germania, si apprestano o lo hanno già fatto. Lo stesso in altri Stati europei ma anche d’oltreoceano.

Il Presidente della Commissione Europea Barroso, in un documento sottoposto al Consiglio Europeo del marzo scorso, ha invitato pressantemente a quella che definiremmo una “giuridicizzazione uniforme” dei fondi sovrani. Non è un caso che nelle normative ad oggi esistenti la figura del sovereign fund non sembra presentare, almeno all’occhio di chi scrive, contenuti suoi propri, bensì viene sussunta in quella, più generale, regolante gli investimenti esteri di ciascun paese. E sempre, sia chiaro, non con una ratio repressiva, ma di marcata deterrenza – tramite regimi autorizzativi stringenti - alla loro operatività concreta.

Questo approccio, almeno secondo la nostra tradizione giuridica, soprattutto quella europea della direttiva “Mifid” di recente attuazione, non può pagare.

Non si ritiene poi sufficiente, forse perché non affrontato, l’esame dell’applicabilità (crediamo inconfutabile) della normativa contro il riciclaggio ed il finanziamento del terrorismo a questi intermediari.

Sì, trattasi di “intermediari finanziari”, e se i fondi in questione non fossero considerati tali – solo in virtù della loro fonte istitutiva -, si avrebbe il paradosso che le operazioni da essi condotte non troverebbero alcun limite quali-quantitativo, se non quelli eventualmente posti dalle singole normative nazionali, facilmente tacciabili di protezionismo e violative del trattato Ue sulla libera circolazione dei capitali.

Chiedendo venia al lettore per la banale esemplificazione, da noi un fondo pensione “chiuso”, nato dall’accordo delle parti datoriali e dei lavoratori, non è esente da vincoli normativi e finanziari nel momento in cui si affaccia sul mercato, e solo perché la sua fonte ed il suo meccanismo di formazione sono, in qualche misura, “pubblici”.

La regolamentazione di vigilanza, comunque, regge i rapporti di detti investitori con gli intermediari finanziari “agenti” (banca depositaria, collocatori, sottoscrittori, ecc.), e ciò anche, per esempio, se una SGR trattasse quote di fondi pubblici (quindi, perché no, “sovrani”!). Essa, nell’assolvimento degli oneri informativi, di trasparenza, di stabilità nei confronti di Consob e Bankitalia, per i rispettivi profili di competenza, dovrebbe renderne conto. Senza parlare degli assetti proprietari e di governance, che sono i più delicati (figuriamoci per un fondo sovrano).

Per i fondi sovrani, laddove non si facesse ricorso nemmeno a questa regolamentazione “mediata”, si correrebbe il serio rischio di creare corsie preferenziali di free riding; ciò senza dimenticare il potenziale di conflitti di interesse che si porrebbero nei rapporti con gli agents ed i consulenti.

Sì, perché per le loro azioni sul mercato i fondi si debbono necessariamente avvalere dell’opera di fund managers. Chi garantirebbe l’indipendenza di questi soggetti, magari al contempo consulenti su portafogli individuali, dall’utilizzo di informazioni privilegiate, come di arbitraggi normativi e finanziari nell’interesse del soggetto più forte?

Il prof. Truman, del Peterson Insitute di Washington, ha evidenziato in uno studio (di cui ampiamente al citato articolo su Gnosis) tutta la concretezza ed attualità di siffatti rischi, sottolineando inoltre, con una frase laconica, che “i fondi sono soprattutto riciclatori di flussi finanziari globali”.

E qui veniamo al nodo gordiano della regolamentazione antiriciclaggio.

Sia chiaro che, su questa materia, nessuna norma domestica o internazionale fissa delle “presunzioni di colpevolezza” a carico di questa o quella attività economica, ma solo di vulnerabilità, più o meno marcata, all’insinuazione di ricchezza di illecita provenienza.

E’ allora evidente che i sovereign funds possono ben prestare la loro “faccia”(inconsapevolmente o consciamente, non sta a noi dirlo) ad infiltrazioni, diciamo così, criminali. Ciò sia a monte che a valle della loro attività.

A monte, nella fase di approvvigionamento di risorse: si pensi a cosa può fare un governo corrotto di risorse immesse in un veicolo senza adeguati controlli.

A valle, il problema è più sensibile, poiché parliamo di ingenti somme che , per lo più se “lavate” della loro provenienza delittuosa attraverso lo schermo della “sovranità” del fondo, possono essere impiegate agevolmente per il mezzo di consulenze all’uopo indirizzate e strumenti di investimento (es., società di comodo) di lecita vestizione.

Nella regolamentazione internazionale,il Gafi è chiaro sul punto. La raccomandazione 21 (delle 40 del giugno 2003) invita tutti gli Stati, comunitari e non, a vigilare su rapporti con paesi che risultino “non compliant” con i core principles in tema di contrasto al riciclaggio. Raccomandazione rafforzata nel 2004 (al n. 8), laddove addirittura viene evidenziato il pericolo dell’utilizzo di onlus e di associazioni non governative nel finanziamento del terrorismo.

In Italia saremmo già attrezzati.

Il recente decreto 231/2007 prevede che l’Uif possa scambiare informazioni con autorità omologhe di paesi europei e non, ai fini della prevenzione ed analisi di operazioni ritenute sospette.

I nostri intermediari finanziari che potrebbero utilizzare i fondi in argomento sono tutti obbligati alla tenuta di presidi contro il riciclaggio, e non sono esonerati (secondo le indicazioni della Banca d’Italia nel suo “decalogo” del 2001) nemmeno dall’esame (ed eventuale segnalazione) di operazioni poste in essere da “colleghi” stranieri. Da ultimo, è previsto un obbligo di “verifica rafforzata” per i c.d. Peps, le persone politicamente esposte in altri Stati, europei e non, fino alla dichiarazione da parte di questi della provenienza delle ricchezze impiegate. Da ciò non sarebbe esonerato, quindi, nemmeno un mandatario che agisca per conto di un fondo sovrano.

Queste regole, peraltro di provenienza ed applicazione europea, vanno tradotte semmai in specifiche previsioni integrative per questi investitori, che, beninteso anche questo, servono al mercato come non mai in questo momento storico.

Temiamo che l’iniziativa, seppur lodevole, di un “codice di condotta volontario” prospettata dal FMI su mandato del G-7, e della quale si sta per parlare in appositi incontri del gruppo di lavoro designato, non possa soddisfare appieno le attese di un settore che ha bisogno di regole chiare ed univoche, con pregnanza legislativa.

 

                        Prof. Ranieri Razzante

(Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 2 settembre 2008)

 



 

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